1. Routine

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Trentaquattro passi.

Trentaquatteo passi dalla porta d'ingresso dell'istituto al mio armadietto, il numero 19 partendo da destra.

Altri sedici per l'aula di Scienze e ventitre per quella di Letteratura. Alle volte erano ventiquattro, ma non ci badavo molto.

Questi erano alcuni dei dati più importanti per la mia nuova routine, sempre che tre mesi si potessero definire una novità.

La mia mano sfiorò la liscia e fresca superficie dell'armadietto, riuscendo poi abbastanza velocemente ad aprirlo.

Sfiorai le copertine dei libri riposti, impegnandomi a capire cosa le parole in rilievo poste sulla parte superiore dicessero, per poi infilarne un paio nella borsa.

Un'idea di Clary, quella di aggiungere una parte in rilievo ai miei libri. È stata la mia salvezza, fin dal primo momento.

Non che mi servissero i libri normali, ma psicologicamente erano necessari per non cadere in quel baratro che, Michael, chiamava secchio.
"Non lasciarti affogare nel secchio" Diceva "perché lì non ne esci, non è una piscina. Mica ha le scalette." E all'inizio non mi soffermavo molto su quelle parole, ma ultimamente, i pensieri mi avevano cominciato a divorare, e la mia mente lavorava anche per quella parte di me che, come avevano definito i medici, "dormiva".

Se avessi potuto l'avrei svegliata io, a suon di pugni. Ma ond'evitare segni permanenti sul mio già non scultoreo viso, preferii evitare.

Sentii la terza campanella suonare, e il mio cuore accellerò, anche se di poco. Non avevo mai contato i passi dall'armadietto all'aula di Biologia, e il tutto semplicemente perché ho sempre avuto qualcuno con cui fare quel tratto.

Per qualcuno, intendo Clary o Michael, non altri. Non avevo tutta questa schiera di fedeli amici, e da quando è successo, nessuno mi si è più avvicinato.

Portavo sfortuna, diceva di aver sentito Clary. Il gatto nero mi avrebbe fatto un baffo, per come mi considerava la gente.

In quel momento però, ero sola.

Sola per il fatto che Clary era malata e Michael, quel povero martire, stava aiutando la cugina con il trasloco.

L'aula di Biologia era un po' dopo quella di arte, ma non ricordavo quanto dopo.

Che poi, vedevo qualcosa. Poco, quasi niente, ma sarebbe dovuto bastare per riuscirmi ad orientare in un luogo che conoscevo così bene. Ma l'ansia, la paura, quella che ti si attacca alle ossa e all'anima e al cuore, non se ne va così, con uno schiocco di dita. È pesante, troppo da sopportare da sola.

Ma fondamentalmente, lo ero, sola.

E così mi incamminai, con passo spedito ma respiro spezzato, evitando di ascoltare la mia coscienza ripetermi "se avessi preso il bastone che la signora Millan ti aveva offerto, probabilmente ora saresti più sicura".

Non lo volevo, il bastone.

Mi serviva la speranza di poterci riuscire di nuovo, di sconfiggere tutto questo. E non volevo arrendermi, cedendo alla tentazione di un aiuto che non avrebbe fatto altro che sminuire me, la me che doveva vincere.

E non sarei mai caduta così in basso, questo era certo, anche se di lì a poco sarei caduta comunque, ora lo so. Perché di certo, una cartella buttata nel mezzo del corridoio, non può essere evitata.

Per lo meno, non può essere evitata da me.

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Salve a tutti!
Mi è venuta l'ispirazione per continuare questo mio "progetto" giusto qualche giorno fa, così ho buttato giù più capitoli di quanti avrei pensato.
Vorrei conoscere un vostro parere, se sia il caso di pubblicare il resto perché la storia potrebbe essere carina, o meno.
Detto ciò, vi lascio il mio profilo Twitter [@In_Harrysheart] e un bacio. ♡

No Matter [h.s.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora