Delegazione tedesca

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Secondo una tradizione che di certo non aveva deciso lei e che era uno dei pochi difetti della ragazza, Artemisia, al suo fianco, continuava a parlare.

"...quindi la maggior parte delle truppe è rimasta fuori città e qui a palazzo è rimasta soltanto una guarnigione di una mezza dozzina di mezzi. Non ci hanno dato più posto nel serraglio perchè..."

"Perché hanno sicuramente le loro buone ragioni, Artemisia" Cercò di fermarla con quel misto di tatto e fermezza che la faceva sembrare un vero generale. Non funzionava sempre, ma non conosceva niente di più efficace.

Dall'altra parte, per una specie di miracolo, Arcadio Martellone stava zitto, con lo sguardo basso, alzandolo solo ogni tanto quando qualcosa, nel palazzo, attirava la sua attenzione. Francine sapeva quanto male lui e Valerius si erano lasciati ed era evidente la tensione che stava provando l'uomo. Non era però argomento in cui volesse intervenire, anzi, l'istinto le suggeriva di starne lontana il più possibile.

Avanzavano per i corridoi del palazzo del Louvre con tutta la pomposità che può avere la rappresentanza dell'esercito francese. Non avevano seguito, nessun corollario di lacché e araldi, ma anche così sapevano chi erano. Il loro era il passo dei padroni di casa. A un certo punto, da un corridoio laterale uscirono altri due individui che si misero a camminare davanti a loro, probabilmente senza nemmeno notarli. Francine però riconobbe la schiena di uno e fu a suo modo felice di vedere che fosse lì. "Conte Bismark!" chiamò.

Il mutante si girò mostrando il suo sereno sorriso di vecchio nobile. Francine avrebbe voluto dirgli molte cose per colmare le settimane in cui non si erano visti, ma il suo accompagnatore decise di intervenire "Generale Santaroche..." salutò, più rapido del tedesco. Il semplice sentire la sua voce rese alla spada immacolata tutto più sgradevole.

Si paralizzò sul posto, assumendo istintivamente una posa difensiva. Accanto a lei anche Martellone si irrigidì, ma con tutt'altro atteggiamento. Artemisia, intuendo il gelo dei suoi due compagni, chiuse finalmente la bocca.

"Maschera di Ferro..." ricambiò il saluto, cercando di sembrare il più sprezzante possibile.

"Guglielmo Quasinotte andrà benissimo per questi luoghi, madame."

"Difficile scegliere il nome per una persona che gestisce assieme così tante identità..."

Guglielmo non sembrava per niente imbarazzato, ritto nella sua uniforme d'ordinanza italiana con lo stemma della città del Vaticano. Era la prima volta che la indossava e chissà come aveva fatto a procurarsela a Parigi, ma sembrava a suo agio, nonostante per una volta le insegne che portava riflettessero realmente la sua natura.

Arcadio si sentì in dovere di appianare la questione. "Dicono le cronache di guerra che hai preso la testa di Wilhelm Haruden."

"E' stato un lavoro di squadra" sminuì la cosa Guglielmo. "Una battaglia che ha coinvolto me, il conte Bismark, il nostro comune amico prete e nientemeno che la regina Anna." Poi si rabbuiò perché prima di qualsiasi altra scaramuccia e battibecco c'era un'informazione che doveva consegnare. "Alfredo Colonna è morto." annunciò. Il suo volto era inespressivo, di un'inespressività palesemente artificiale.

Gelo, da parte dell'ingegnere inverso. "Consumato da questa guerra come tanti."

"Come tanti meno importanti di lui"

"Chi gestirà ora crocifisso, compasso e coltello?"

"Una domanda per quando ci ritroveremo soli, Arcadio."

Ripresero ad avanzare tutti e cinque, Bismark e Guglielmo davanti, Francine, Artemisia e Arcadio dietro. C'erano tanti di quegli attriti in quel piccolo gruppetto che nessuno aveva più molta voglia di parlare. Arrivarono in fretta davanti alle grandi porte che un lacché aprì per loro. Nella sala del trono li attendeva Valerius Demoire.

Valerius Demoire - vol. 5Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora