Colpa, giudizio e condanna

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Un ingegnere vive di superfici lisce e linee rette. Così era anche Valerius, nel suo pensiero diretto, in cui tutto doveva procedere inesorabilmente dal punto A al punto B. Molti storici venuti dopo di lui, leggendone le vicende, hanno pensato che fosse proprio questa la sua debolezza: la sua mente geniale non riusciva a tenere in considerazione le asperità del viaggio.

Era il contrario, invece, la mente di Francesco Pupo Torvergata. Nella sua chiusura, nella sua perfetta geometria dettata dalla fede, il cervello dell'inquisitore sapeva invece che il mondo esterno era un labirinto e che non esisteva strada tra A e B. Esisteva solo un vagare contorto e ritorto, un continuo ritornare alimentato dalla fede, cieca e profonda, che esistesse una destinazione. Ma verso la destinazione non si muoveva mai.

Per questo Valerius era già passato oltre i primi intrighi dei rettiliani, li aveva considerati superati, irrilevanti, mentre Francesco Pupo aveva continuato a ricordarli, preservandoli in un angolo della sua coscienza, consapevole che altrettanto aveva fatto Alfredo Colonna in vita e continuavano a fare, dopo la sua morte, le reti di spie che aveva gettato per l'Europa.

"Annientare il nido di Mosca porterà alla fine della guerra" si lamentò Valerius. La sua irritazione dipendeva dal fatto che credeva quell'incontro fosse solo un atto formale, non un dibattito.

"Lo sanno tutti bene" gli rispose l'inquisitore "per questo il nostro nemico ha preso posizione a Varsavia e si è messo sulla nostra strada.

"La nostra strada è nel cielo"

Anche Francine si irrigidì. Quello di Valerius era un vecchio errore che tutti coloro che erano inesperti di cose di guerra facevano: credere che un esercito potesse effettivamente semplicemente muoversi fino al suo obiettivo senza preoccuparsi di nient'altro. Da Parigi a Berlino questo poteva essere anche apparso vero, per il genio, ma da lì in poi le cose non sarebbero andate altrettanto bene. Con l'aggiunta dei myrmidon tedeschi e dei loro piloti l'equipaggio dell'aeronave avrebbe raggiunto un numero ragguardevole. Persone che avrebbero dovuto mangiare, dormire, riposarsi, macchine che avrebbero avuto bisogno di essere revisionate e riparate. Giorni di dura e forzata convivenza per cui il cielo non sarebbe bastato.

"Il passaggio per Varsavia è obbligato" disse la ragazza "ma i governanti della città si sono già detti favorevoli a noi. Pensate ci stiano preparando una trappola?"

"Non so nulla di strategie" Francesco Pupo fece un passo avanti "io mi occupo di colpa, giudizio e condanna. C'è un uomo che è colpevole e che non è stato ancora punito. Un uomo che ha tradito la sua razza."

Nemmeno l'inquisitore, insomma, rendeva le cose facili. Per quanto la sua linea d'azione poteva essere sensata le parole che stava usando per spiegarlo rendevano difficile dargli ragione. Fortunatamente nella sala del trono era presente anche Bismark. "Ci vorranno giorni per approntare l'aeronave per il suo ultimo viaggio" sentenziò "di quanti giorni hai bisogno tu, prete?"

"Posso essere a Varsavia in due giorni" Aveva già fatto tutti i calcoli del caso. "A quel punto..."

"Una settimana" La regina Anna era stata ad ascoltare il battibecco senza intervenire. Come tutti i regnanti sapeva quando i suoi sudditi si perdevano nelle minutaglie della realtà, da cui la politica poteva anche rimanere fuori. L'importante, le era stato insegnato in anni di comando, era intervenire quando una decisione si rendeva necessaria, un solo colpo di stiletto, nel punto in cui avrebbe potuto cogliere tutti. "Tra una settimana l'aeronave di Valerius salperà da Berlino e verrà a Varsavia. Per allora la questione sarà risolta?"

Francesco Pupo chinò il capo, abituato a servire era impossibile sapere se le decisioni delle persone al comando lo soddisfacessero o no. Non era domanda che si ponesse. "Se potrò avere le risorse necessarie."

"Che risorse?"

"Pugnale e Compasso"

Non tutti nella sala del trono colsero. I termini con cui i servitori di Alfredo Colonna parlavano di loro stessi non erano mai divenuti comuni a tutte le persone che li avevano incrociati. Solo Francine capì di cosa stava parlando, ma non intervenne. Era una logica di cui non poteva lamentarsi. C'era qualcosa di antico, nel piano di Francesco Pupo, una guerra nella guerra che le era negata e in cui non voleva immischiarsi. Se avesse saputo che l'uomo a cui Francesco dava la caccia era lo stesso che aveva creato la Morte Rossa forse avrebbe capito l'importanza dell'azione del prete, ma molte delle responsabilità di ciò che era accaduto fino a quel giorno erano perse nella nebbia della storia, in quei tempi.

Valerius Demoire - vol. 5Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora