Capitolo 20

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Capitolo 20

Ginny lo vide di nuovo scomparire con la testa nel Pensatoio. Aveva paura di perderlo nuovamente.

Ma Harry aveva qualcosa di più importante a cui pensare.

Gennaio 1979, Londra.

La ragazza camminava con passo strascicato per le vie affollate di una città che le era sempre parsa caotica. Stranamente, il sole quel giorno brillava in cielo, riscaldando di poco l’aria gelida di gennaio. Era da poco iniziato l’anno nuovo e la gente si affrettava a sorridere a persone che odiavano, a scambiarsi dei volutamente frettolosi baci sulle guance e strette di mano. Solo per augurare un buon anno, ma per la ragazza non sarebbe stato tale.

Cercava di scansare veloce la gente che le piombava addosso, ma era tutto inutile.

Quando arrivò alla destinazione sospirò. Era un sospiro di sollievo, ma anche di sconforto. Era il momento di accettare la realtà, di affrontarla. Bussò alla porta con energia, ma nessuno rispose. Pigiò il campanello scassato, ma non funzionava. Sbuffò spazientita e si sedette sul primo scalino. Poi le lacrime si fecero presenti sul suo volto. I singhiozzi attirarono l’attenzione di alcuni passanti che però procedevano, fregandosene. Solo la cameriera del bar lì vicino si accostò alla ragazza in lacrime.

“Tutto okay?” chiese gentile. La ragazza la guardò sbalordita. Stava piangendo. Come poteva andare tutto okay?

“Secondo te?” rispose, meno garbata del solito. La cameriera si allontanò stizzita.

La ragazza si alzò e lasciò quel posto. Non ci sarebbe più tornata.

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Harry tolse la testa dal Pensatoio. Si chiese come mai non si era preso la briga di analizzare quei pensieri.

“Tutto apposto?” domandò Ginny affacciandosi alla porta dello studio. Harry scosse la testa deluso. Si fece largo tra i vari oggetti presenti in quella stanza per poi fiondarsi sulla poltrona. Era estremamente stanco.

“Vuoi un po’ di the?” azzardò Ginevra.

“Si, portamene una tazza” acconsentì. “Ah ricordati prima il latte”. La moglie annuì ed uscì dalla stanza.

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3 Luglio 1979

Degli striduli versetti provenivano dalla culla vicino al letto della ragazza. Quest’ultima si girò a dare un ultimo sguardo alla figlia. Aveva i capelli scuri e gli occhi verdi. Una perfetta mescolanza della due persone che si amavano. Si chiese come aveva fatto il suo fidanzato a non riconoscere l’incantesimo in cui viveva.

Ci aveva passato giorni interi a sperimentarlo, poi per sei mesi ci aveva vissuto. Aveva nascosto la pancia che cresceva sempre di più. Ed ogni mattina che lo faceva si chiedeva come avesse potuto essere tanto stupida ad averlo tenuto.

Ma ormai era successo. Si era dilaniata per dare alla luce un figlio che non avrebbero mai visto. Né lei, né il padre della piccola.

La ragazza scese dal letto e si vestì. Doveva sfuggire da quella situazione. L’ostetrica la dimise e non la vide più fino al luglio del 1980.

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Harry beveva a piccoli sorsi il suo the caldo.

“Dovresti rilassarti un po’, sei molto stressato per questa cosa” gli sussurrò Ginny nell’orecchio.

“Ho scoperto di avere una sorella che neanche conoscevo, Ginevra. Mi pare abbastanza ovvio lo stress!” sbottò infuriato il marito. Ginny annuì silenziosa. Era meglio non andare oltre.

“Johanna è figlia di mia madre. Ma non riesco a capire chi fosse il padre” gli raccontò Harry, quando ebbe riacquistato un po’ di tranquillità.

“Hai qualche idea?” chiese lei. Harry scosse la testa pensieroso.

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“Lily, è una storia vera?” il ragazzo dall’altro capo del telefono era in una sorta di nervosismo ansioso. Le mani erano sudaticce, i capelli lunghi raccolti in una crocchia sulla nuca. Si passava la mano libera ripetutamente sul viso.

“Sì” rispose semplicemente lei. Era sull’orlo del pianto.

“James ne sa qualcosa?” domandò il ragazzo.

“No” Lily si era portata una mano alla bocca, per evitare di far sentire i suoi singhiozzi al marito.

“Mi puoi dire il nome?” azzardò lui. Lily non rispose. Non sapeva il nome di sua figlia.

“Non lo so” il ragazzo le attaccò in faccia.

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Harry era appena entrato al San Mungo. Si tolse la giacca leggera e l’abbandonò su una poltroncina all’ingresso dell’ospedale. Si diresse verso la stanza dove da due settimane era ricoverata Johanna. Bussò un paio di volte prima di entrare.

“Buongiorno” disse velocemente. “Johanna devi dirmi chi è tuo padre”.

“La mente arguta del Salvatore del Mondo Magico, non è riuscito ad arrivare ad una soluzione così ovvia?” chiese divertita lei, sollevando lo sguardo dal libro antico che stava studiando. Harry la guardò dispiaciuto.

“Sirius Black”

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