I Believe in a Thing Called Love (Act II)

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Nuotare sott'acqua e trattenere il fiato.



Era questa la sensazione che aveva Hinata mentre tentava disperatamente di risalire a galla da quegli occhi azzurri e spudorati. Una canzone su un nastro, un ritmo divertente e graffiante, un momento di pura euforia con gli amici di una vita.

Tutto cancellato da quelle pozze scure di lussuria liquida.

Come si girava la testa? Come ci si voltava di lato? Il suo corpo era pietrificato.

Occhi contro occhi.

Un rumore di vetri rotti spezzò l'incantesimo tra i due: preso dal momento di assolo, Choji aveva fatto cadere la lampada mandandola in frantumi.

«Merda!»

Shikamaru e Kiba iniziarono a raccoglierne i pezzi stando attenti a non calpestarli, Naruto invece si avvicinò al televisore in modo da abbassarne il volume: era l'occasione giusta per riprendere fiato.

«Sarà meglio avvertire la titolare,» mugolò Sakura alzandosi dal sofà, ma Hinata fu più veloce di lei. «Vado io!» squittì con voce tanto alta da far guaire il povero Akamaru che stava sonnecchiando scomodamente sotto il tavolo. La kunoichi aprì e chiuse la porta della stanzetta in un lampo, felice di potersi lasciare andare ad un respiro profondo.


"Non riesco a deglutire."


Si inumidì le labbra asciutte, procedendo a passo incerto verso le scale che l'avrebbero condotta al piano inferiore. Un brusio di voci di vario genere accompagnava la sua buia traversata, riportandole alla mente il luogo in cui si trovava: un piccolo locale poco fuori dalla zona a luci rosse di Konoha.

Scossa dal pensiero Hinata incurvò la schiena, spostando le lunghe ciocche di capelli neri ai lati del suo viso, in modo da coprire quanto più possibile il segno verdastro lasciatole dal morso di Naruto; ad un certo punto però si rese conto di quanto fosse stupida quella mossa, dato che stava dando per scontato che qualcuno lì dentro potesse trovarla abbastanza attraente da causarle un certo tipo di fastidio... che sciocchezza.

Perse l'equilibrio quando qualcuno le urtò la spalla.

«Oh, scusam-»

La voce le morì in gola.

A un passo dal suo viso, un giovane dall'aria rude la stava squadrando da capo a piedi: doveva essere uscito da una delle porte ma, persa com'era nei suoi pensieri, non era riuscita a percepirlo. Durò una frazione di secondo, e quando riconobbe i lineamenti del suo viso lo stomaco della giovane si contrasse in uno spasmo di panico...


Ancora una volta, un fantasma del passato tornava a tormentarla.

Alto e snello, il giovane davanti a lei aveva mantenuto l'aria spocchiosa che aveva da bambino, quando insieme agli altri due bulletti di quartiere la derideva senza pietà, tirandole la terra sugli occhi e chiamandola "mostro".

«Colpa mia,» sussurrò maliziosamente passandosi una mano tra i capelli castani; Hinata fece un passo indietro tentando di abbassare quanto più possibile il suo "segreto", ma l'uomo emise un grugnito che la obbligò a tornare di nuovo con lo sguardo su di lui: una miriade di emozioni attraversarono il suo volto, ma era chiaro che l'avesse riconosciuta...

Occhi lavanda incorniciati in lunghi capelli color antracite.

«Tu.»

Nella penombra, a occhi semichiusi, il ragazzo la squadrò da capo a piedi sorridendole in un modo che lei trovò alquanto fastidioso...

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