Wild Night (Act II)

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«Eccoci qua,» lo sentì mormorare mentre richiudeva la porta dietro di sé. C'era un odore acre nell'aria, un misto di fumo e sporcizia che le diede il voltastomaco. Shinkū se ne accorse e l'adagiò sul divanetto di pelle; il contatto con il tessuto freddo e colloso la infastidì, ma il cuscino della seduta si afflosciò al punto da percepirne una morbidezza accogliente. C'era tanta confusione dentro di lei... la testa penzolava da un lato all'altro in cerca di sollievo, le pareti volteggiavano, le ombre si soprapponevano e il suo corpo non la smetteva di tremare.


"Cosa mi succede?" si chiese tra un conato e l'altro. "Che posto è questo?"


Si guardò attorno in cerca di un indizio: l'ambiente aveva soltanto due porte, di cui una doveva essere per esclusione quella del bagno. Le pareti erano di una tonalità di verde molto scuro, eleganti, ma irrimediabilmente rovinate dal tempo e, soprattutto, da decorazioni pacchiane poste come controsoffitto; su di esse spiccavano alcune cornici color oro che ritraevano donne seminude con il volto coperto. Non riusciva a distinguere bene il materiale del pavimento, ai suoi occhi era semplicemente petrolio: lucido e nero. Davanti al divano c'era un enorme letto a baldacchino, con dei tendaggi pesanti legati alla struttura in ferro battuto; ai due lati del letto, due ampie vetrate si affacciavano sulla strada sottostante, offrendo uno scorcio di vista del quartiere a luci rosse.

Shinkū sembrava padrone di quella stanza che pian piano riconobbe essere la camera di un motel. Lo sentì fischiettare un motivetto sconosciuto, vedendolo muoversi nel perimetro semi illuminato con estrema facilità: anche lui aveva bevuto parecchio, eppure riusciva a mantenersi in equilibrio con un'agilità da fare invidia perfino a una kunoichi allenata come lei.

«Ecco qui,» mormorò fra sé e sé fintanto che accendeva le tre candele poste sulla consolle in legno. Voltando lo sguardo su di lui, Hinata notò anche l'enorme pianta di drachena, unico vero abbellimento di quel posto all'apparenza altolocato.

«Metto su un po' di musica, ti va?» Senza aspettare risposta, ecco che dal giradischi moderno prese a puntellare una musica sensuale ed eccentrica, morbosa e istintiva, che per quanto fosse bella da sentire, le fece gelare il sangue...

"Devo andarmene da qui."

Quando aprì il cassetto della consolle, Shinkū lanciò un grugnito:

«Cazzo, di solito ne lasciano almeno uno! Scendo un attimo alla macchinetta e torno.»

La testa aveva ricominciato a girarle, ma intuì che Shinkū aveva appena lasciato la stanza dalla luce passante attraverso la porta semichiusa, che illuminò a malapena l'interno. Dal corridoio si levarono d'un tratto risa strusciate e lamenti rivoltanti, incontenibili. Hinata trattenne il respiro:

"E' la mia occasione."

Con il corpo che le pesava avanzò barcollante verso l'uscita, maledicendosi più volte per essere incappata in una situazione così pericolosa; sapeva bene che due cose sbagliate non ne facevano una giusta, eppure quella sera aveva intenzionalmente sedotto Shinkū solo per dimostrare che, al pari delle altre donne, era in grado di attirarsi le attenzioni maschili.

Dopo essere stata travolta dall'incredibile energia di quella pietra, una parte della sua coscienza si era come assopita, dando modo a una parte di lei del tutto sconosciuta di risalire alla fonte. Le sue mani si erano mosse come dotate di vita propria, sfumando il suo viso aggraziato di un trucco assai provocante; scarpe e capelli furono scelti e sistemati con una calma che nascondeva nel profondo rabbia e rancore, mentre una delle divise scure utilizzate per missioni di spionaggio veniva ritagliata alla base, divenendo così un vero e proprio tubino.

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