10. È Stato Uno Sbaglio

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Clarke ripensa a quello che Bellamy le aveva detto il giorno prima:
"Siamo a corto di cibo per sopravvivere".
Una delle frasi che più l'aveva fatta rabbrividire in quei giorni che erano atterrati sulla Terra.
Era tutta la notte che ci pensava, ma non tanto per il fatto che sentiva la fame o aveva bisogno di recuperare le forze perse, ma per il fatto che nessuno dall'Arca aveva dato segnali.
Forse i bracciali che stavano controllando i parametri vitali avevano smesso di funzionare? Forse i collegamenti si erano interrotti?
L'unica cosa a cui stava pensando è che le mancava la sua famiglia.
Era orrendo pensare al fatto che lei era sul pianeta Terra, mentre i suoi genitori erano su una piccola navicella di metallo che galleggia nello spazio.
Erano poco più le 6 di mattina e lo poteva notare dalla luce del sole che penetrava tra i due lembi della tenda, un po' sbiaditi.
Era da un'oretta sveglia e aveva già tutti questi pensieri che le frullavano in mente.
Si guarda intorno e nota che Bellamy stava dormendo sulla brandina al lato opposto della tenda.
Dopo vari minuti passati a fissarlo sorridendo, Clarke nota che era sul punto di svegliarsi così, in men che non si dica, si gira su un fianco tenendo gli occhi chiusi, fingendo di dormire.
Bellamy stende le braccia al cielo sbadigliando, per poi alzarsi e indossare le sue scarpe: erano massicce, abbastanza grandi e rivestite da poter proteggere i suoi piedi dalla pericolosità sconosciuta del suolo del pianeta Terra.
Poi indossa la sua giacca, parte della sua uniforme da guardia e si dirige verso l'uscita.
"Dove vai?" chiede scattando Clarke per alzarsi.
Bellamy si volta subito, spaventato dalla sua voce.
"Mi hai fatto prendere un colpo" dice rilasciando tutta l'aria dei polmoni che aveva trattenuto dallo spavento.
"Vado a controllare la disponibilità di qualche preda a farsi cacciare" risponde indicando la radura.
"Vengo con te" dice all'improvviso lei con tono preoccupato.
"Sei pazza? Non posso portarti con me, hai ancora la gamba ferita e soprattutto è pericoloso. E se ci fossero altri terrestri pronti ad infilzarti con le loro frecce?" dice andando verso di lei e accovacciandosi davanti alla brandina, prendendole la mano.
"Allora? Come può essere pericoloso per me, lo è anche per te e poi la mia gamba sta benissimo, guarda! È gia quasi guarita!" esclama Clarke tirando un sorriso e mostrandogli il ginocchio.
Dove prima si trovava un taglio profondo, ora si poteva vedere che stava quasi guarendo e, vedendo Bellamy sorridere, Clarke oscilla la sua gamba come per dargli una dimostrazione in più.
"Se ti arriva una freccia dritta nell'addome non è colpa mia, io ti ho avvisata" dice scherzando lui alzandosi per poi darle le spalle.
Lei lo raggiunge e gli dà uno schiaffo sulla spalla in modo scherzoso.
Entrambi escono dalla tenda e si dirigono verso il bosco fitto che si estendeva a qualche metro di distanza rispetto ai loro accampamenti.
"Dove andate?" li raggiunge Wells, preoccupato.
"Non ti sei accorto che il cibo scarseggia e abbiamo bisogno di riprendere energie? Mi sembra un po' stupido darti una risposta" sputa acido Bellamy guardandolo dall'alto in basso.
Wells alza gli occhi al cielo e poi lancia uno sguardo a Clarke.
"Clarke, tu che sei intelligente, resta nella radura, è pericoloso andarsene in giro sapendo che c'è gente sconosciuta che potrebbe catturarti da un momento all'altro" dice prendendola da un braccio.
"E a Bellamy non pensi? Anche per lui è pericoloso, non solo per me" risponde Clarke ma, quando si accorge di averlo detto ad alta voce e non di averlo semplicemente pensato, si porta istintivamente una mano sulla fronte, facendo una smorfia.
"Di lui possiamo fare anche a meno, ma di te no" continua Wells.
"Cos'hai detto? Ho capito male io?" gli si avvicina Bellamy con tono aggressivo.
Quansi stava per esplodere, non poteva trattenersi di più.
"Hai capito bene" lo istiga Wells incrociando le braccia al petto.
Bellamy stringe le sue mani in un pugno e le stringe così forte da poter sentire le unghie conficcate nel palmo della mano.
"Ci dai due secondi?" chiede Clarke, allontanandolo da Wells mentre gli poggiava una mano sul petto.
Alla visione della ragazza, il suo sguardo si addolcisce e la sua presa si allenta.
Senza proferire parola, annuisce e si allontana per prendere le armi adatte per cacciare.
"Wells, andrà tutto bene, non devi preoccuparti per me, piuttosto preoccupati di fare le razioni di cibo per tutti noi nel frattempo" dice lei senza guardarlo in faccia.
"Perché devi andare con lui? Magari andiamo io e te e così ti so al sicuro" risponde lui.
Non riusciva a stare fermo, avrebbe voluto almeno abbracciarla.
Quello sguardo fisso a terra gli dava un senso di freddezza; non era la stessa Clarke delle altre volte.
"Lui è più bravo in queste cose, sa cosa fare" quasi sussurra lei alzando, finalmente, lo sguardo.
"E da cosa lo capisci, scusa?" domanda curioso Wells.
Clarke si guarda intorno come a trovare una scusa, ma quella scusa non l'aveva.
Non sapeva neanche lei da cosa lo aveva intuito, ma sapeva di potersi fidare.
Wells, d'istinto, trascina Clarke più indietro e all'improvviso le prende il viso tra le mani e la bacia.
Non sapeva cosa stesse facendo, ma sentiva il bisogno di farlo, o forse solo per sfizio di farlo.
Lei si stacca dopo poco, non ricambiando quel bacio ma, in tal caso, era troppo tardi poiché Bellamy li aveva già visti.
Con sguardo basso, va verso la catasta di alberi, intento a completare quello a cui era intenzionato a fare.

È sempre la solita storia, non devi fidarti delle Arcadiane. Sono tutte uguali.

Gli diceva la vocina in testa, mentre marciava verso il bosco.
"Wells, devi smetterla di baciarmi all'improvviso" lo rimprovera Clarke con le lacrime agli occhi e con la voce tremante.
Poi, corre in direzione degli alberi, dove poco prima si stava dirigendo Bellamy.
"Bellamy, aspetta!" gli urla dietro finché non lo raggiunge.
Bellamy aveva lo sguardo deciso, rivolto in avanti, senza mai voltarsi. Mentre Clarke, lo raggiunge fermandolo con una stretta al braccio.
"Bellamy, lo hai visto anche tu. È stato lui" gli dice Clarke con il fiatone a causa della corsa e per via dei suoi battiti irregolari.
Lui non le risponde, né la guarda negli occhi...l'unica cosa che riesce a fare è stare immobile.
"Sai che c'è?" chiede cercando di mantenere la voce ferma e guardandola negli occhi.
Clarke se ne era accorta: si era accorta che quei suoi occhi scuri non erano della profondità e della brillantezza che aveva visto nei giorni precedenti. Ora erano scuri e basta, quasi tenebrosi e pieni di rabbia.
"È stato uno sbaglio. È stata solo una cotta come quelle che si ha tra ragazzini. Niente di più, niente di meno" dice con tono freddo.
Clarke lascia la presa dal suo braccio e lo vede scomparire tra i folti cespugli della selva.
Avrebbe voluto corrergli dietro e dirgli che no, non era così. Non era quello che stava pensando realmente.
Sente le gambe cedere e, all'improvviso, si siede a terra con le lacrime che le rigano il viso.
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Ehi gente! Questo capitolo mi è stato consigliato da una di voi, quindi grazie mille!❤️
Spero che il capitolo vi piaccia.
Per i prossimi capitoli ho in mente molte cose, ad esempio ho pensato di sviluppare anche la storia di Octavia e ho pensato anche ad una storia con Lincoln. Se l'idea vi piace, scrivete nei commenti e supportate con una stellina✨

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