8. Dr. Bohan

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«È davvero affezionato a quel paziente. Ma non posso permettere di farlo tenere lì per sempre senza sapere il suo passato.»

«Se per il momento non c'è stata alcuna complicazione – anzi, solo miglioramenti da parte del paziente – perché ti preoccupi tanto?»

«Perché non va bene, il modo in cui lavora quel ragazzo. Hanno messo a lavorare l'uomo sbagliato lì dentro. Non sa nemmeno cosa sia la rigidità, la fermezza e l'indifferenza. È così che ci si comporta in quei postacci! Devono essere trattati tutti allo stesso modo.»

«Lo so anch'io, Jack, ma smettila di tormentarti tanto. Troverai lavoro anche tu, di nuovo. Sei un dottore infondo»

L'uomo guardò sua moglie e si accarezzò la barba sospirando.

«Pensi che io sia frustrato, vero?»

«Non è questo... so che è difficile, ma lascia che quell'uomo nel bel mezzo del percorso della sua giovinezza faccia quello per cui ha lavorato. Proprio come hai fatto tu tanto tempo fa» La donna sorrise al dottore, poggiando gentilmente una mano sul dorso della sua.

«...Hai ragione», sospirò.

***

Prese una sigaretta dal taschino, la accese e cominciò a consumarla, insieme alla suola delle scarpe che si grattugiava sfregando sull'asfalto malridotto.

Frank aveva quell'abitudine. Fumare per levarsi i pensieri e le tensioni di dosso, eppure il suo non era un vizio; sapeva benissimo controllarsi, fumava massimo tre sigarette al giorno.

Raggiunto l'appartamento, spense la sigaretta nel lavandino e la buttò nel water.
Si sciaquò il viso, dirigendosi poi verso la cucina per prepararsi qualcosa da mangiare.

La sua vita era abbastanza monotona, se non fosse stato per il lavoro e qualche uscita con Linda e Roy. Di amici suoi lì non ne aveva ancora.
Si era trasferito lì da meno di un anno infondo.

Ad interrompere la sua solita quiete fu il telefono, che cominciò a squillare nel corridoio.

«Pronto?»

«Frank? Frank abbiamo bisogno di te... Mi dispiace, so che sei appena tornato a casa ma-»

«Arrivo.»

Infilò un braccio nella manica della giacca e chiuse la porta, scendendo di corsa le scale.

Finì di mangiare il suo sandwich in mezzo alla strada, mettendosi poi a correre finché non riuscì ad intravedere la struttura sanitaria.

Continuava a domandarsi cosa fosse successo, era preoccupato, e la sua mente premeva ad un solo pensiero: Gerard Way.

Aveva instaurato un rapporto diverso con lui, un rapporto speciale, o come si voleva chiamarlo.
Il paziente si fidava di lui e aveva preso abbastanza confidenza per sentirsi a suo agio, a volte per sentirsi al sicuro lo abbracciava anche.
E tutti, in quella struttura, lo avevano capito.
Frank era l'unico in grado di aiutare Gerard, e di questo ne era consapevole perciò cercava di lavorare più con lui che con gli altri; non per arroganza, ma per il timore che qualcuno potesse fargli del male a causa le sue reazioni.

«Linda, che succede?»

«Per fortuna che sei qui, svelto, raggiungi la stanza 102» Disse la donna preoccupata.

Senza chiedere altro, Frank corse fino a raggiungere la stanza del paziente Way, e non appena la aprì, i suoi occhi vennero inondati dalle lacrime.

Linda gli corse dietro, «Abbiamo chiamato l'ambulanza, è nel cortile, ma lui non...!»

«Va', vai ad aprire le porte. Ci penso io» Frank si chinò davanti al paziente e provò a toccarlo, ma questo si rifiutò di collaborare e lo scacciò.

Patient 102   |   FrerardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora