18. Surviving

212 20 17
                                    

Un mese dopo.


Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che Gerard aveva acconsentito ad uscire qualche ora con l'assistente Frank Iero, e un altro po' di tempo da quando aveva smesso di mangiare, e i suoi capelli insieme alle ossa si erano indeboliti ancora di più.

Frank non sapeva cosa fare.
Si sentiva terribilmente in colpa ogni volta che posava lo sguardo sul corpo di Gerard, ogni volta che incontrava i suoi occhi cupi, ogni volta che lo vedeva sdraiato su quel lettino senza fare nulla, giorno e notte.

Ma infondo lo sapeva, Gerard non era fatto per stare lì dentro e si stava consumando lentamente.
Si stava rovinando, si stava spezzando.
Le sue forze erano ormai inesistenti. Data la mancanza di cibo e acqua nel corpo, non riusciva più nemmeno ad alzarsi dal letto.

Almeno una volta al giorno un assistente qualsiasi provava a farlo bere, ma lui rifiutava.
Gli portavano il bicchiere davanti al viso, e allora lui faceva un sorso, giusto per sopravvivere ancora.

Non aveva paura della morte, di morire di fame, di essere diventato una specie di vegetale. Non provava più la passione, il sentimento forte verso Frank, perché non ne aveva le forze.
Lo guardava semplicemente e agli occhi di Frank sembrava spento. Sembrava vuoto.

E lo era, probabilmente.
Era svuotato da tutto.
Non aveva più preoccupazioni.
La sua vita aveva semplicemente deciso che per lui quello era diventato troppo. E che se non avrebbe smesso di vivere così, si sarebbe probabilmente abbandonato alla terra, al cielo.

Gerard Way aveva passato due anni in quella struttura, e non avevano concluso nulla su di lui, nelle sue carte.
Nonostante i progressi fatti, le spiegazioni date, era ancora lì, rinchiuso in quel posto, nonostante gli altri fingessero di dargli la libertà, che lui vedeva come l'ora d'aria di un prigioniero.

Proprio adesso però, che Linda e Roy erano riusciti a sistemare un po' le sue carte, a mettere buone parole con i dottori e il personale che stava più in alto di loro, Gerard non ce la faceva più.

Era stanco, stanco di non avere una vita vera, stanco di sprecare le giornate così, di vedere la luce attraverso una finestrella, stanco di non avere un obbiettivo da raggiungere.

Se glielo avessero chiesto prima, avrebbe risposto che viveva per l'unica cosa che gli faceva ancora battere il cuore. Frank.

Ma adesso sembrava essersi spento tutto. Tutto quanto, e dalla testa ai piedi sentiva solo un familiare formicolio. Non si muoveva e i suoi piedi erano gonfi, le mani tremavano al minimo movimento e le gambe cedevano non appena provava ad alzarsi.

Era un parassita.
Non serviva a nulla.
Non era indispensabile per quel mondo, non lo era per nessuno.
Nessuno lo conosceva, o lo riconosceva, anche se fosse uscito di lì. I genitori lo avevano tenuto rinchiuso, era dovuto crescere prematuramente, doveva comportarsi da uomo anche se era solo un bambino. Eppure non riusciva a sforzarsi troppo, ma non si erano mai preoccupati per lui, non lo avevano mai portato a fare una visita, per loro era da buttare, se non riusciva a lavorare con le cose pesanti come faceva il padre.

Non aveva avuto alcuna opportunità di crescere bene, di farsi una vita. Viverla, la vita. A pieno, o viverla solo un po'.
Era stato un ragazzo sfortunato, e continuava ad esserlo da uomo.
Forse non era mai stato realmente un uomo, forse aveva ancora bisogno di una figura materna, ma sapeva benissimo di non poter contare sulla famiglia.
Poteva solo fidarsi di Frank, era l'unico che lo faceva stare bene, come un lieve raggio di sole in mezzo a un cielo di nuvole grigie.

Patient 102   |   FrerardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora