19. More Than Thousand Words

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«Manca poco, Gerard, manca così poco...»


«Non è vero... no... non posso farcela» Ripetè Gerard con le dita fra i capelli, tirandoli piano e poi strofinandoli.

Ricordava le parole che Frank gli diceva quasi ogni sera, ma ormai non ci credeva più.
Lo sapeva, era convinto, che non sarebbe più uscito da quel posto.
Non sapeva più cosa fare ormai, per convincere la sua stessa mente ad aspettare, aspettare e basta.

«Non è vero! Non dire bugie, non mentirmi, almeno tu... ti prego»
Si dondolava piano avanti e indietro, seduto sopra il suo letto.

Aveva chiuso le finestre, e le teneva oscurate per giorni interi.


«Ha freddo? Perché non chiude la finestra allor-»

«No!»

Lo psicoterapeuta si fermò di scatto e guardò il paziente davanti a sè aspettando una spiegazione.

«È l'unica cosa che mi fa respirare qui dentro...»


Gerard si sentiva strano.

Non che di solito non lo fosse, ma si sentiva strano dentro; era scombussolato, era come se i suoi organi si fossero contorti e stretti tra di loro, come se i polmoni volessero smettere di contenere aria e il cuore smettere di pulsare.

Frank gli stava vicino, più del dovuto, faceva anche turni in più per lui senza che Linda e Roy lo sapessero, anche di notte, per farlo stare un po' meglio.

Ma lo sapeva. Frank lo sapeva. Lo vedeva.
Gerard si stava spegnendo.
E lui non poteva cambiare la cosa.
Avrebbe dannatamente voluto farlo, ma semplicemente non poteva, non poteva cambiare il bruttissimo, crudele destino di una vita.
Di quella vita, di Gerard, quel paziente che gli aveva totalmente cambiato gli ideali, di sé stesso, di quello che lo circondava, e che gli aveva fatto provare qualcosa di inimmaginabile.

Avrebbe fatto di tutto, per stare con lui diversamente, per poterlo portare in giro ogni volta che avesse voluto, per alzarlo la mattina e fargli trovare qualcosa di caldo davanti.

Ma Gerard aveva deciso che no, non poteva più aspettare.
Non ce la faceva.
Era arrivato al culmine, e sarebbe stato difficile per lui, per il suo corpo, continuare a vivere in quel modo.

Non c'erano parole, per quello. Entrambi lo sapevano, quello che stava accadendo.
Ma continuavano a starsi vicino l'un l'altro, senza dire nulla, a volte solo abbracciandosi, mischiando le loro anime, i loro sentimenti, che se a parole non si esprimevano potevano farlo toccandosi.

Frank aveva pazienza, ma sapeva che ne valeva la pena; Gerard sapeva di essere un peso, ed era anche per questo che non voleva continuare in quel modo.

Entrambi si sentivano in colpa per quello che stavano facendo all'altro, senza che in realtà ce l'avessero.

Ma non riuscivano a dirsi nulla, non provavano a confrontarsi, non cercavano di sistemare le cose.
Perché non c'era nulla da fare, semplicemente.
Perché le cose erano andate così e ormai bisognava solo aspettare, il dannato giorno, quello della libertà di Gerard, che sarebbe arrivato, in un modo o nell'altro. E Frank ovviamente sperava per il meglio.



«Con chi parli?» Chiese Frank chiudendo la porta dietro di sé, con il solito piccolo sorriso sul viso.

«Mh? Frank... nessuno, con nessuno»

Lo guardò, si guardarono, e quando l'assistente si sedette sul letto, entrambi si fecero avanti per accogliersi in un abbraccio.

«Come stai?»

Patient 102   |   FrerardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora