15. Tears

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Per quanto le visite con quello psicoterapeuta, Byron Bogdanov, fossero state non piacevoli ma quasi, Gerard non aveva intenzione di essere grato a Frank, anzi.

Sapeva che lui lo aveva fatto perché si era lasciato andare ed era andato oltre.
Aveva varcato il confine tra loro due.

Aveva spezzato la quiete e dentro di lui si stava creando una tempesta di sentimenti inespressi.

Frank non provava le stesse cose, era evidente, altrimenti non gli avrebbe mandato uno strizza cervelli ad invadergli la privacy.

Avrebbe dovuto parlare e parlare con quell'uomo finché non si sarebbe stancato e avrebbe raccontato quello che stava per fare ormai un tempo lontano.

Perché? Si chiedeva ancora.
Perché suo fratello Mikey si era sbarazzato di lui così facilmente, in modo freddo e indifferente?

Forse aveva realmente sbagliato di grosso, forse si vergognavano di lui o avevano paura.

Ma non conosceva suo fratello? Non sapeva che mai avrebbe avuto il coraggio e la forza di togliere la vita a chi gliel'aveva donata, sebbene quello non era il padre che si aspettava?

No.
Nessuno lo conosceva.

Un brivido gli percorse la schiena, odiava pensare, odiava rimuginare sul passato, odiava avere dei sentimenti; preferiva tornare indietro al primo giorno che lo avevano lasciato nella struttura, quando era una persona nuova e diversa, in peggio ma pur sempre sull'attenti, pronto a difendersi, diffidente nei confronti di chiunque e persino di sé stesso.

Adesso invece si era affezionato a Frank e cominciava a provare i sensi di colpa. Per quello che aveva fatto alla sua famiglia. Cominciava a pensare che davvero era stato un figlio orribile, da gettare via.

E non si erano fatti problemi a farlo, non ci avevano pensato nemmeno due volte.

E mai erano andati a trovarlo.

Lacrime calde cominciarono a scendere giù dalle sue guance lisce e pallide, che finirono nei palmi delle sue mani aperte appoggiate sulle gambe.
Strinse i pugni dapprima lentamente e poi con più forza, facendo sbiancare le nocche.

Odiava piangere.
Odiava sentire le lacrime, sentire il viso che si accaldava, la fronte che si corrugava e gli occhi che bruciavano lentamente.
Odiava provare quelle cose. Ma soprattutto odiava sentirsi in colpa per qualcosa che non aveva nemmeno fatto, e che non proverebbe mai più a fare.

Aveva avuto paura anche lui, di sé stesso.
Si disprezzava.
Ancora adesso.
Ma era stato orribile essere trattato in quel modo, peggio di quando suo padre faceva quelle cose sbagliate, peggio di perdere un amico o essere pugnalati.

Si era sentito tradito, gettato tra le fiamme, sconfitto da chi pensava lo amasse. E che lui amava più di qualunque altra cosa al mondo.

***

Quando Byron entrò nella stanza 102, Gerard dormiva, e anche se al rumore della serratura si svegliò, non accennò a muoversi o aprire gli occhi.

Voleva solo essere lasciato in pace.
Voleva solo starsene lì a morire; gli bastava il silenzio.

«Gerard, ti disturbo? Dormi?»

È ovvio, no? Ovvio che mi disturbi, se sto dormendo.

Aprì lentamente gli occhi con un sospiro pesante e triste e scosse lentamente la testa. «No»

«Oh bene. Come stai? Hai ripreso a darmi del lei?»

Gerard fece un piccolo sorriso alzando un sopracciglio; non aveva nemmeno le forze per fingere una risatina.

Patient 102   |   FrerardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora