La storia di Tobia il leone

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"Nonno, ora tocca a te! Che cosa ci racconti?"
Nathan tirò dolcemente la manica del nonno, che spostò lo sguardo dalla fotografia che lo ritraeva da bambino agli occhi curiosi del nipotino. Si tirò su gli occhiali, scivolati sulla punta del naso, e sorrise:
"Hai ragione, tocca a me... Osservando la foto mi è venuta in mente una piccola storia molto divertente. Guardate qui."
Il nonno posò il dito sulla fotografia, soffermandosi sulle piccole mani del bimbo: un peluche mal ridotto pendeva accanto alle sue ginocchia.
"Ohh, nonno! Ma è un leone!"
"Esatto, Nathy. Però guardalo bene, non noti niente di strano?"
Nathan si avvicinò al vecchio album, fino a sfiorare la carta con il suo nasino:
"Ma gli manca un'orecchia! Povero leone!"
Si rialzò intristito dalla vista del povero pupazzo:
"Esatto... Tobia il leone era senza un'orecchia. Vuoi sapere come mai?"
Ellen fu più veloce a rispondere:
"Certo che vogliamo saperlo!"

"La storia di Tobia era iniziata in uno zoo; non me lo ricordo, ma mia mamma mi aveva raccontato che quando ero molto piccolo mi avevano portato a visitarlo. Alla vista dei leoni ero rimasto talmente colpito che, come diceva lei, non volevo più staccarmi dai cancelli dello zoo per tornare a casa. Fosse stato per me, mi sarei portato un leone nascosto nel passeggino e avrei fatto della mia stanza il suo regno, ma la mamma era di tutt'altro avviso."
Ellen rise di cuore a quella rivelazione, anche lei una volta aveva sognato di poter adottare un ghepardo, ma purtroppo aveva dovuto abbandonare quel progetto così allettante, proprio come il nonno.
"Allora i miei genitori, per consolarmi e trovare un compromesso, comprarono al negozio dello zoo un piccolo peluche a forma di leone, che diventò da subito il mio giocattolo preferito."
"Un po' come capitan Nemo?"
"Esatto, Nathy, proprio come il tuo bel pesciolino. Amavo quel pupazzo e lo portavo con me dappertutto. Un pomeriggio in cui pioveva fortissimo decisi di andare con Tobia a saltare nelle pozzanghere. Non dissi niente alla mamma, sapevo che non ne sarebbe stata entusiasta. Potete immaginare come tornai a casa, quella sera. Eravamo ricoperti di fango dalla testa ai piedi, o dovrei dire dalla criniera alle zampe, sia io che il povero Tobia."
Nathan irruppe in una sonora risata, quante ne aveva combinate il nonno, da piccolo!

"Io fui spedito in bagno e il piccolo Tobia finì nel cesto dei panni da lavare. Una volta lindo e profumato, la mamma mi disse di metterlo al sole ad asciugare. Seguii il suo consiglio e lo appoggiai su una sedia sotto il sole. Quando alla sera tornai a prenderlo, però, del mio amato pupazzo non c'era traccia."
"Dov'era finito?"
Ellen era sempre più curiosa, si era già affezionata a quella piccola palla di pelo.
"Lo ritrovai in bocca al cucciolo di casa, un piccolo cagnolino di nome Billy. Tobia era un leone, ma non si era difeso molto bene. Scoppiai a piangere e corsi dal papà, che recuperò il mio pupazzo bavoso. Era ancora intero, o quasi: era rimasto senza un'orecchia. La mamma tappò il piccolo buco con qualche punto ad ago e filo, e Tobia fu quasi come nuovo."
Nathan e Ellen ridevano a crepapelle:
"Non c'è niente da ridere! Povero Tobia, era diventato mezzo sordo e voi lo trovate divertente!"
Il nonno scherzò coi nipoti, cercando di fingersi arrabbiato, ma non resistette a lungo alla loro gioia contagiosa, e alla fine sia lui che Nadia cominciarono a ridere insieme ai bambini.

Era incredibile quanta euforia sapessero trasmettere quei nanerottoli anche a due cuori un po' arrugginiti dal tempo: quella sera l'infanzia si era dischiusa tra le pagine di un libro, e aveva trasformato la soffitta in un mondo incantato, dove la fantasia era l'unica protagonista.

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