Il fiore della speranza

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Nadia appoggiò delicatamente l'album sul pavimento di legno, sollevando le mani con aria rassegnata:
"Per questa storia purtroppo non ho nessuna fotografia da mostrarvi, ragazzi, dovrete accontentarvi delle mie parole... Le immagini di quel giorno però sono ancora ben impresse nella mia mente: avevo combinato davvero un gran pasticcio!"
Ellen e Nathan, gli occhi fissi su di lei, erano tutti orecchie: la loro fantasia era ben più che sufficiente per tramutare i racconti della nonna in realtà, anche senza le bellissime fotografie.

Guardando soddisfatta i suoi nipotini attenti, Nadia iniziò a rispolverare i suoi ricordi:
"Avevo quattordici anni, me lo ricordo perché era il trentacinquesimo anniversario dei miei genitori. Ognuno di noi aveva scelto un pensierino da regalare a mamma e a papà, per quel giorno così speciale. Ad esempio, se non mi sbaglio, Luca, uno dei miei fratelli, aveva comprato un portagioie per la mamma e una cravatta per papà. Anna invece, la sorella più vicina in età con me, aveva preso un mazzo di rose bianche per lei e dei gemelli per il babbo."
Nathan arricciò il nasino sconcertato: non capiva proprio come si potessero donare dei bambini ai propri genitori, che idea assurda!
"Dei gemelli? Regalarli? E poi, nonna, non eravate già in sette? Altri due fratelli?"
A quel fiume di domande, la nonna scoppiò a ridere senza riuscire più a fermarsi:
"Oh no, Nathy, i gemelli sono dei piccoli bottoncini di metallo che servono per i polsini delle camice."
"Ohhh, ora capisco..."
Adesso era tutto molto più chiaro e logico anche per il piccolo nanerottolo non molto acculturato in fatto di moda.

Dopo essersi ripresa dalle risate, Nadia riuscì a continuare:
"Io avevo deciso di fare qualcosa di diverso dai miei fratelli: volevo realizzare personalmente il loro regalo, cucinando la loro torta preferita. Avevo trovato nel vecchio libro di ricette la lista di ingredienti che usava sempre la mamma, ed ero convinta sarebbe stata una passeggiata. Non avevo mai fatto niente di più di un uovo saltato in padella, ma non pensavo servisse tanta esperienza per imparare. Cucinare non era mai stata una mia prerogativa: a parte apparecchiare e sparecchiare la tavola e aiutare a stendere i panni non facevo molto in casa."
Ellen la guardò pensierosa: aveva sempre osservato la nonna così attiva e indaffarata in casa, non era affatto da lei...
"Come mai? Non ti piaceva l'idea di metterti ai fornelli?"
"Non ci avevo mai neanche pensato... Ero la più piccola in casa, così mi lasciavano fare solo qualche lavoretto semplice, mentre la mamma e le mie tre sorelle maggiori facevano il resto. Avevo sempre dato un po' per scontati i loro tanti sforzi, ero abituata a trovare la cena pronta e i panni puliti nell'armadio... Non mi fermavo a pensare a tutto il lavoro che c'era dietro."
Nathan ripensò ai suoi vestiti ben ripiegati nell'armadietto, alle cenette fumanti che la mamma gli preparava... In effetti era più abituato a lamentarsi la sera del minestrone piuttosto che a ringraziare per tutti gli sforzi della sua amata mami... Si morse il labbro pensieroso, mentre un peso calava sul suo cuoricino. Alzò lo sguardo sulla nonna e si ripromise che avrebbe imparato a ringraziare persino per l'odioso minestrone, pur di ripagare le sue orribili colpe.

"E così la mattina dell'anniversario, mentre i nostri genitori erano andati a fare una camminata nei boschi e un romantico pick nick, corsi in paese con la ricetta per prendere tutto l'occorrente. Quando arrivai alla bottega, però, il prezioso foglietto di carta che avevo messo in tasca non c'era più, dovevo averlo perso per la strada. Non avendo alternative, cercai di affidarmi alla mia memoria, per prendere tutti gli ingredienti. La bottegaia fu stupita di vedermi al posto delle mie sorelle o della mamma, ma non si scompose. Mi procurò ciò che le avevo chiesto e mi incamminai verso casa con il cesto tra le mani."
Ellen la guardò intuendo già il proseguo della storia:
"Ti eri dimenticata qualcosa, vero?"
"Hai indovinato... Arrivata a casa spedii tutti fuori dalla cucina e mi misi all'opera. Ben presto però mi accorsi di essermi scordata parte del necessario, e fui costretta a fare alcune modifiche. Per la frolla, al posto del burro aggiunsi qualche uovo in più delle nostre galline, cercando di accorpare l'impasto. Per la marmellata, riuscii a scovarne un vasetto rimasto in fondo alla credenza, rosso rosso, che sembrava alla ciliegia; infine al posto della buccia di limone trovai in casa un aroma che profumava di agrumi. Cercai di amalgamare la farina con le uova montate e lo zucchero, ma non riuscii a ottenere un granché, a parte sporcare di un velo bianco tutto il piano di cottura e parte del pavimento. Continuai a impastare per una buona mezz'ora, ma le dita si attaccavano sempre più alla poltiglia che avevo tra le mani. Alla fine gettai nella teglia quello strano composto, aggiungendo all'ultimo il lievito che mi stavo dimenticando. Abbondai con la quantità, pensando di farla gonfiare ben bene, e aprii il barattolo della presunta marmellata. Dopo averne versato qualche cucchiaiata sull'impasto, sentii uno strano odore di pomodoro. Così osservai meglio il contenuto del vasetto e con mia grande sorpresa e sgomento mi resi conto che non era affatto marmellata di ciliegie, bensì la passata che la mamma aveva fatto con i pomodori dell'orto."
Nathan si coprì gli occhi con le mani e si mise a ridere per la disperazione, lasciando delle belle ditate sugli occhiali:
"Che disastro!"
Nadia sorrise amaramente al ricordo:
"Cercai di togliere la passata e pulire l'impasto alla meglio. Poi, non avendo altra marmellata, la sostituii con una crema al cioccolato. Alla fine sgretolai il pezzetto di impasto che avevo lasciato da parte in tante briciole e le lasciai cadere sulla torta, perché non volevano saperne di formare delle strisce decenti."

La nonna si fermò un istante a riprendere fiato, osservando le facce schifate e divertite dei nipotini:
"Guardate che il peggio deve ancora venire! Infornai la torta a un numero di gradi a caso, perché la temperatura corretta era andata persa sullo stesso foglietto degli ingredienti, e mi misi a osservare dal vetro del forno il mio "capolavoro", ancora piena di speranze."
Ellen la guardò non troppo fiduciosa:
"E cos'accadde?"
"Il mio pasticcio, che in un'altra vita avrebbe dovuto essere una torta, iniziò a gonfiarsi a dismisura, a causa della doppia dose di lievito. Cresceva in altezza minuto dopo minuto, fino a che lo vidi uscire dalla teglia e riversarsi in tutto il forno. Abbassai immediatamente la temperatura e aprii il vetro per lo spavento, così, anziché risolvere il problema, vidi quell'immensa montagna crollare su se stessa, ponendo fine a ogni mio sogno..."

Il silenzio che seguì quella tragica conclusione era carico di stupore. La storia della nonna era un crescendo di disastri e l'epilogo aveva lasciato tutti senza parole, a parte Giorgio, che conosceva quel racconto come le sue tasche:
"Ho sposato proprio una donna fuori dal comune, che ne dite?"
Strizzò l'occhio ai nipotini e appoggiò una mano sulla spalla di Nadia, orgoglioso della sua amata pasticciona. La nonna gli sorrise  e le piccole rughe d'espressione si distesero sul suo volto.

Poi tornò seria, pronta a donare ai suoi nipotini la preziosa gemma che tutta quella storia le aveva insegnato:
"Ero proprio disperata, sapete, ma ben presto arrivarono le mie sorelle ad aiutarmi. Avevano sentito tutti i rumori che avevano accompagnato la mia folle impresa e il mio continuo sbuffare e arrabbiarmi con il povero impasto senza speranze. Aprirono la porta delicatamente e, dopo qualche attimo di sconcerto per la cucina ridotta a un campo di guerra, corsero ad abbracciarmi per asciugare le lacrime di delusione dal mio viso."
"Furono così buone con te, nonnina? Non erano arrabbiate?"
Nathan era preoccupato per la sorte di quella pasticciona in cui si era immedesimato così tanto, i suoi occhietti lucidi erano stretti per la malinconia.
"No, Nathy, non si arrabbiarono. Capivano che quel disastro mi era già servito da insegnamento. La mia mancanza di modestia era stata fonte di delusione e, anche se ero stata guidata da nobili sentimenti, non avevo capito la difficoltà dell'impresa in cui mi ero lanciata. Non avevo voluto farmi aiutare, non avevo pensato di dover imparare dalle mie sorelle, convinta com'ero che sarebbe stato un gioco da ragazzi. Da quel momento capii invece quanto avevo ancora da apprendere, osservai la mamma e le ragazze con una nuova ammirazione per le loro capacità."
Ellen sorrise soddisfatta, ma poi un'ombra velò il suo viso:
"E quando la tua mamma tornò a casa si arrabbiò molto?"
Nadia scosse la testa, nostalgica:
"Oh, no... La mamma fu molto buona con me. Io e le mie sorelle avevamo già pulito tutta la cucina, che brillava come un gioiello, e quello per lei fu il regalo più grande, insieme al mio racconto e alla morale che ne avevo saputo cogliere. Le chiesi se mi avrebbe aiutata da quel giorno a imparare non solo a cucinare, ma a diventare brava come loro in tutte le faccende di casa. Ringraziai lei e le ragazze per tutto ciò che facevano giorno dopo giorno per la famiglia e mi impegnai davvero per migliorare."
"È stato questo a farti crescere, nonna?"
Ellen osservò con attenzione lo sguardo di Nadia, così perso nei ricordi e così saggio nella sua limpida profondità:
"Sì, Elly. A volte dagli errori possiamo imparare a vedere le cose in una nuova luce. Capiamo di dover cambiare, di dover crescere e, se sappiamo trasformare i nostri sbagli in occasioni per impegnarci di più, ne usciremo sempre migliori."
Giorgio annuì con convinzione:
"È proprio vero, e sapete, se crescere significa prendersi nuove responsabilità, questo non deve spaventarvi. I risultati ripagano di ogni sforzo. Guardate vostra nonna, che brava cuoca è diventata... Eppure ha dovuto imparare, e anche sbagliare, per raggiungere questo risultato. Crescere è un percorso ad alti e bassi, in cui potrà esserci anche qualche caduta, ma la gioia supera ogni sacrificio, e i risultati saranno sorprendenti."
Spostò gli occhi limpidi dai ragazzi alla donna che aveva al suo fianco, ammirandola in tutta la sua saggezza.

Ellen notò quello sguardo e ne rimase colpita, sognò di poter diventare anche lei come Nadia: una bambina in fondo al cuore ma con la saggezza di una donna. Ora capiva meglio quanto aveva ancora da imparare. Ci sarebbero voluti tanto tempo e molti sforzi, ma si sarebbe impegnata con tutta se stessa. Adesso la paura era sovrastata da un altro sentimento, più forte e profondo: la speranza era sbocciata nel suo cuore, e nulla avrebbe potuto estirparla.

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