So che sembra una stupida frase fatta, ma veramente questi quattro giorni a Edimburgo sono passati in un attimo. Complici tutte le cose che abbiamo fatto, tutti quegli angoli che non avrei mai visto se Ashton non fosse stato così curioso, per la prima volta non ho voglia di tornare a Stirling. Anche perché stavolta sarò da solo. Ho cercato di pensarci il meno possibile, ma ormai è arrivato il momento di fare i conti col fatto che tra poche ore migliaia di chilometri mi allontaneranno da quel riccio che è riuscito a sconvolgermi la vita. Entro in doccia e apro l’acqua, sperando che questa si porti via i miei pensieri negativi. Chiudo gli occhi per godermi il getto caldo rilassante, ma all’improvviso sento lo sportello che si apre per poi venire abbracciato da dietro. “Non voglio che ti faccia la doccia da solo“, mormora Ashton contro la mia spalla, io sospiro sentendo gli occhi farsi umidi. “Non piangere Cal, non piangere“, penso godendomi il suo abbraccio, ma un singhiozzo lascia la mia bocca. Il riccio mi costringe a girarmi chiudendo l’acqua, a questo punto è inutile nascondermi e mi lascio andare alle lacrime tra le braccia del ragazzo davanti a me. “Non voglio che te ne vada“ mormoro, Ashton si limita a massaggiarmi la schiena.
“Speravo con tutto me stesso che non avresti reagito così, ho passato tutta la notte a guardarti dormire per imprimermi nella mente il tuo viso rilassato e felice“, mi dice dopo essermi calmato. Mentre mi insapono mi giro verso il riccio, mi sorride tristemente, io annuisco in silenzio ma non ho la forza di dire nulla. Quando finiamo, usciamo dalla doccia e ci rivestiamo in silenzio per poi prendere i nostri bagagli e scendere nella hall. Facciamo colazione con calma, godendoci totalmente il tempo che ancora abbiamo. “Signori, qua è tutto già pagato“, ci riferisce quella stessa ragazza che pochi giorni fa ci aveva accolti. “Sicura? Deve esserci un errore“, scuote la testa Ashton. “Risulta che David Hood ha pagato“, ripete la ragazza scrutando lo schermo del computer. “Va bene, grazie“, le dico io per poi uscire.“Ma tuo padre è pazzo? Come glieli ridò i soldi?“, scuote la testa il riccio. “Puoi sempre venire a trovarci questo inverno“, ridacchio. “L’avrei fatto comunque, cascasse il mondo“, mi abbraccia per poi baciarmi. Schiudo la bocca per approfondire il bacio, mentre mi avvicino il più possibile a lui. “Posso accompagnarti in aeroporto?“, chiedo a bassa voce una volta staccatomi dal riccio. “Fosse per me vorrei partire con te“, mi accarezza i capelli toccandomi la fronte. Ci avviamo verso la stazione, il treno che ci porta all’aeroporto parte poco dopo. “Ma tu come torni a Stirling?“, mi chiede Ashton mentre appoggio la testa sulle sue spalle. “Mio padre viene in città, torneremo insieme“, gli spiego io prendendo la sua mano per baciarla, il riccio sfrega il pollice contro la mia mano. “Allora sto tranquillo“, mi sorride per poi baciarmi delicatamente facendomi ridere. Poco dopo il treno annuncia la nostra fermata, ci alziamo in piedi e ci avviciniamo allo sportello. Una volta scesi davanti a noi già l’aeroporto ci si para davanti, e io non posso non sentire una fitta al cuore mentre i miei occhi si rifanno umidi.
Sento la mano di Ashton che prende la mia, ma non oso girarmi verso di lui mentre ci incamminiamo, tanto sappiamo entrambi che scoppieremo in lacrime, tanto vale rimandare il più possibile questo momento. Appena varcato l’ingresso, il tabellone annuncia il volo per Sydney tra tre ore. “Abbiamo ancora un po’ di tempo“, sorrido tristemente. “Già, vieni qui“, allarga le braccia, io mi ci tuffo e mi lascio stringere mentre il suo profumo mi invade le narici. “Sai di buono“, ridacchio, cercando di non farmi vedere troppo triste, ma la mia espressione mi tradisce. Ashton è messo come me, ma evitiamo di parlarne. Decidiamo di sederci non troppo lontano da dove ci sarà il check-in, il riccio mi fa sedere sulle sue ginocchia per tenermi il più possibile vicino a lui. “Promettimi che non mi dimenticherai“, mi dice stringendomi i fianchi, sembriamo uno di quei film adolescenziali. Chi l’ha detto che i cliché sono una brutta cosa? “Non potrei mai farlo, credimi“, gli sorrido accarezzandogli la guancia mentre col pollice gli asciugo le lacrime. “Ti prometto che appena potrò verrò a trovarti“, mi sorride ancora prima di baciarmi dolcemente. “Ci conto“, mormoro sfiorandogli il naso con il mio facendolo ridere teneramente.
“Signore e signori, tra qualche minuto inizierà il check-in per Sydney“, sentiamo una voce, quella maledetta voce che speravo quasi di non sentire. Mi alzo di scatto e recupero la mia valigia, dimenticata accanto a noi mentre sento di nuovo le lacrime sulle mie guance. Ashton si alza anche lui, lo vedo asciugarsi le lacrime prima di donarmi uno sguardo estremamente triste. Ci incamminiamo verso il terminal in silenzio, non ci sono parole che potremmo aggiungere per rendere meno triste la nostra separazione. “Non sai cosa darei per venire con te“, dico ricacciando indietro un groppo più grosso di me. “Cal, non lo dire“, Ashton scuote la testa iniziando a piangere. Gli prendo le mani e le stringo, mentre inizio a piangere anche io silenziosamente. Quando vediamo un’hostess aprire il terminal il riccio si gira verso di me e si fionda ad abbracciarmi. “Non hai idea di quanto mi mancherai“, mi stringe fortissimo, sento le sue lacrime sui miei capelli mentre gli accarezzo la schiena. “Mi mancherai come l’aria“, gli dico io prima di baciarlo, uno di quei baci che sarebbero terribilmente romantici se non sapesse di addio. Quando ci separiamo, ci guardiamo sorridendoci debolmente fino a che Ashton rimane a portata di vista mentre continuiamo a salutarci da lontano.
Un attimo dopo il riccio scompare dalla mia vista, lasciandomi solo, terribilmente vuoto e triste. Rapidamente mi si riempiono gli occhi di lacrime mentre guardo quell’aereo diretto verso l’Australia, la mia terra, ma che non mi è mai sembrata così lontana come ora. Rimango a guardarlo per una buona mezzora, almeno fino a che non si muove per andare verso il rullaggio. A quel punto, recupero la mia valigia ed esco dall’aeroporto cercando di calmarmi mentre prendo il telefono e chiamo mio padre per sapere se è già arrivato.
*****
Ringrazio il cielo per la mia famiglia, davvero. Alla fine con mio padre c’era pure mia madre, e durante tutto il tragitto di ritorno hanno evitato accuratamente di rivolgermi la parola o di guardarmi, lasciandomi il tempo per cercare di riprendermi. E ancora, una volta a casa anche Christine, fidata e discreta, ha evitato di chiedermi di Ashton, regalandomi invece un enorme abbraccio consolatore. Mi sono rifugiato in camera, in quella che ha ospitato Ashton, e nessuno è venuto a disturbarmi per tutto il pomeriggio. “Cal, dove vai?“, mi chiede papà mentre esco dal portone di casa. E’ ora di cena ma non ho minimamente fame. “Vorrei uscire, non ho fame“, lo guardo supplicandolo implicitamente di lasciarmi in pace. “D’accordo, vai“, mi sorride benevolo, io lo abbraccio grato prima di scappare.
Mi accendo una sigaretta mentre vado al torrente, mi sembra un’infinità che non ci venivo. Mi guardo attorno malinconico mentre mi siedo a terra, rendendomi conto che è proprio qui che ho dato il mio corpo ad Ashton la prima volta. Il pensiero del riccio mi fa salire di nuovo le lacrime agli occhi così ricomincio a piangere mentre nella mia mente riaffiorano i ricordi di un’estate che non penso dimenticherò facilmente.
“Cal, sei tu?“, sento una voce avvicinarsi, io alzo lo sguardo e vedo il mio migliore amico accovacciarsi accanto a me. “Come stai?“, mi chiede porgendomi un fazzoletto. “Come se un treno mi fosse passato sopra“, rido cercando di calmarmi. “Sono felice che tu sia qui“, gli confesso buttando il mozzicone di sigaretta in un posacenere. “Avevo bisogno del mio migliore amico“, lo abbraccio. “Non ti lascio, lo sai“, mi stringe a sua volta sospirando. Rimango così per un po’, averlo vicino mi fa sentire molto meglio, come se riuscisse a portarsi via la mia tristezza. Quando si stacca da me, rimane qualche secondo a guardarmi in modo strano. “Ehi Tim, che ti prende?“, gli chiedo, ma lui fa un gesto che mai e poi mai mi sarei aspettato. Mi bacia. Dura poco, giusto il tempo che realizzi cosa sta succedendo, e poi mi allontano di colpo. “Cosa cazzo stai facendo?“, gli chiedo, agitato. Il mio migliore amico mi guarda stranito, come se non avesse realizzato cosa ha appena fatto.
“Io... oh, fanculo. Senti, lo so che è il momento peggiore della storia per dirtelo, ma ormai è fatta. Mi piaci, d’accordo? Era da qualche tempo che volevo dirtelo, ma avevo, e ho tuttora, il terrore di perderti. Ma ormai ti ho baciato, non posso tornare indietro. E so che non provi nulla per me, in fondo siamo amici, e lo rispetto. E so che ora stai male perché Ashton è partito, ma volevo farti sapere che, ecco, se mai vorrai, mi troverai qui ad aspettarti“, mi parla concitato. Io lo guardo sconvolto. “Aspetta no, non è possibile“, scuoto la testa incredulo. “Non posso comandare i miei sentimenti“, si passa la mano sul viso. “Ti chiedo scusa, non avrei dovuto comportarmi così“, aggiunge per poi scappare via, lasciandomi da solo e più confuso che mai.
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All the things he said • Cashton Hoodwin
FanfictionIn cui un'estate cambierà per sempre la vita di due ragazzi. Disclaimer: la trama di questa storia è PARZIALMENTE ISPIRATA a "call me by your name"