21

100 7 12
                                    

Sette anni dopo...

Scendo dalla metropolitana e mi faccio largo tra la gente fino a che l'aria fresca di Boston non mi invade le narici. Respiro a pieni polmoni mentre mi incammino per una via secondaria che faccio di solito per evitare di passare davanti ai pub affollati, in pochi minuti arrivo davanti al portone del mio palazzo. Osservo brevemente l'edificio e sospiro soddisfatto mentre giro la chiave ed entro. Come al solito prendo l'ascensore, abitare al quinto piano non è esattamente agevole ma per fortuna non devo farmi le scale. Quando la porta si chiude, mi guardo allo specchio. Sì, sono decisamente soddisfatto di come sta andando la mia vita ultimamente. Mi sono laureato a pieni voti al MIT e sono riuscito a trovare un impiego ben pagato subito dopo, vivo in una zona della città davvero bella, in una bella casa che sono riuscito a pagarmi da solo e non potrei chiedere di meglio. Sorrido quando l'altoparlante annuncia di aver raggiunto il quinto piano e un attimo dopo la porta si apre per farmi uscire. Come esco dall'ascensore mi trovo davanti una persona che mai e poi mai avrei pensato di rincontrare sulla mia strada: Ashton Irwin. Rimango per qualche attimo a fissare la sua figura di spalle come fossi in trance, indeciso se scappare in casa e fingendo di non averlo visto o meno. "Ashton...", mi decido a parlare superando la sua porta di qualche passo e notandolo trafficare con una pila di fogli. In quel momento alza lo sguardo, e quasi non gli cadono tutti i fogli quando mi vede anche lui. "Calum, sei davvero tu? ", mi guarda impietrito e spaesato, io annuisco in silenzio perché non saprei cos'altro dire . Mi mordo il labbro, sono nervoso e non riesco a dire altro, lui credo sia messo come me. Rimaniamo per qualche minuto buono ad osservarci in silenzio, siamo entrambi cambiati in questi anni. "Non ti ho mai odiato davvero", ho finalmente il coraggio di dire. Il ragazzo di fronte a me mi sorride timidamente e sospira. "Meno male, tutto questo tempo sono stato convinto che mi odiassi, certo ne avevi il diritto ma sono felice", si stringe nelle spalle e fa un passo verso di me. "Non avrei mai potuto. Certo, all'inizio ero arrabbiato e deluso, ma anche grazie a Tim mi è passata", gli sorrido.

"Tim?", mi lancia un'occhiata curiosa. "Non te ne ho parlato allora perché l'ultima volta che ti ho visto ancora non avevo ben capito la situazione, ma il giorno in cui sei tornato in Australia dalla Scozia Tim mi si è dichiarato. Era consapevole che avessi ancora te in testa e mi ha lasciato il mio spazio, l'anno dopo sono stato io a chiedergli di provare a vedere se tra noi avrebbe potuto funzionare. Abbiamo avuto una relazione per due anni, fino a che non ho iniziato l'università e tra lezioni ed esami non ho più potuto passare tutta l'estate a Stirling. Ci siamo lasciati, per noi era impossibile rimanere insieme se non potevamo vederci praticamente mai, ma siamo rimasti amici, ogni anno per qualche giorno cerchiamo di vederci", gli racconto. "Me lo aspettavo, non te ne sei mai reso conto probabilmente, ma ogni tanto ti lanciava occhiate così eloquenti che anche un bambino di cinque anni avrebbe capito", ride. "Forse non me ne accorgevo perché in lui vedevo solo un amico, o forse semplicemente sono un idiota che non fa caso a ciò che accade intorno a lui", scuoto la testa ridendo al ricordo. "No, non lo sei", mi mette una mano sulla spalla facendomi sospirare. "Aspetta, tu vivi qui?", mi chiede come se se ne fosse ricordato solo adesso. "Sì, da pochi mesi in realtà", gli rispondo io annuendo. "Quindi abitiamo vicini e non me ne sono mai accorto", mormora più a se stesso che a me. "Io nemmeno lo sapevo, ma trascorro talmente poco tempo a casa che non conosco nessuno dei miei vicini", scrollo le spalle. "Per me è molto strano, mio figlio è talmente curioso da sapere sempre prima di me se abbiamo dei nuovi vicini, gli piace fare amicizia con tutti", ride. "Tu... hai un figlio?", gli chiedo spiazzato. 

"Sì, ho un figlio e mia moglie è incinta della nostra seconda bambina", mi spiega. Annuisco piano cercando di processare queste informazioni. "Calum, io voglio mettere una cosa in chiaro con te. Non ho potuto farlo anni fa, ma se mi permetti vorrei spiegarti come sono andate le cose", mi propone mentre apre la porta di casa sua. "Vieni, entra, tanto non c'è nessuno", mi invita ad entrare e io, timidamente, faccio come mi dice accomodandomi sul suo divano. "Ti ricordi quando ti dissi che  riguardo al mio matrimonio c'era in ballo una questione più grande di me?", mi chiede, "Non ho dimenticato nulla di quella volta", annuisco. "Ecco, durante quell'anno la mia famiglia è finita sul lastrico, ma un uomo, mio suocero, si è offerto di comprare l'azienda di mio padre se io avessi sposato sua figlia e io, per non vederci rovinati, ho dovuto accettare, capisci?", mi spiega. "Dato che non sopportavo l'idea di vedere i miei per strada ho dovuto accettare un matrimonio con una donna che non conoscevo, una donna di cui non sono mai stato innamorato e che non ama me", aggiunge.

Abbasso lo sguardo scuotendo la testa. "Io... ti chiedo scusa", mormoro a testa bassa. "Non hai nulla di cui scusarti", mi dice. "Sì invece. Ero ferito ed arrabbiato, è vero, ma se ti avessi dato la possibilità di spiegarti non ci saremmo separati così male", sospiro. Alzo la testa e lo trovo a guardarmi sorridendo. "Non so se avrei reagito in maniera diversa se fossi stato al tuo posto", si avvicina accarezzandomi i capelli. "C-Cosa stai facendo?", gli chiedo con gli occhi sbarrati. "Non vuoi?", mi guarda le labbra mordendo le sue. "No, non toccarmi, per favore", mi alzo in fretta dal divano e faccio un passo indietro. "Perché no? Non ho mai smesso di provare quello che ho provato per te quell'estate" scuote la testa. "Nemmeno io", dico, "non penso ci riuscirò mai". Ashton si alza in piedi ma io mi allontanò ancora da lui. "Non c'è più posto per noi due", soffio quando mi trovo il riccio a pochi centimetri di distanza. "Io non la amo, non l'ho mai amata e lei non ama me. Non sono nemmeno certo che la bambina che porta in grembo sia mia", si morde il labbro. "Per favore, non rendere tutto così difficile", piagnucolo. "Porterei solo casino nella tua vita e rovinerei tutto quello che hai costruito", lo spingo via leggermente, ma Ashton è più veloce e mi blocca i polsi.

"Mi hai già portato casino, anni fa, quando ci siamo conosciuti, e tutta la mia vita ora è basata su un ricatto, non rovineresti nulla", mi attira a sé, abbracciandomi. Mi ritrovo a tremare come una foglia, l'effetto che mi faceva è rimasto intatto e la cosa mi sconvolge. "Ashton, per favore, non insistere. Siamo adulti e maturi abbastanza per capire che non possiamo tornare a ciò che eravamo. Ormai abbiamo le nostre vite, non possiamo mandare tutto all'aria così", mi stacco da lui in un momento di lucidità. Il riccio lascia la presa e annuisce sospirando. "Lo so, hai ragione, ti chiedo scusa ", mi dice, guardandomi negli occhi. Mi viene quasi da piangere mentre lo guardo. "Posso chiederti una cosa? Una sola, te lo giuro", mi chiede dopo qualche secondo. "Certo", gli sorrido guardandolo negli occhi. "Vorrei baciarti, un'ultima volta. Non sono riuscito a darti l'addio che sappiamo entrambi di meritare", si morde il labbro, visibilmente nervoso. Annuisco piano, non mi sento di privare né me stesso né lui di questo contatto.

Ashton viene verso di me a grandi falcate, mi prende il viso delicatamente e mi bacia. Chiudo gli occhi mentre allaccio automaticamente le braccia dietro al suo collo e schiudo le labbra, lasciando che il riccio approfondisca il bacio. Per qualche tempo mi sento di nuovo come se fossi tornato a quando avevo diciassette anni, a quell'estate in cui io e Ashton ci siamo conosciuti, quando la vita vera non si era intromessa tra noi. Ma l'incanto svanisce quando Ashton si stacca da me per prendere fiato, avvicinando la sua fronte alla mia e accarezzandomi il viso. "Grazie", mi dice, sorridendomi. "Di cosa?", gli chiedo piano. "Per avermi permesso di baciarti di nuovo" mi risponde ovvio, come se fosse la cosa più naturale del mondo. "Me lo dovevi, l'hai detto tu", ridacchio per poi staccarmi da lui e avviarmi alla porta. "Adesso cosa farai?", mi chiede, raggiungendomi all'ingresso. "Uscirò da qui consapevole di essere riuscito a essere di nuovo tuo per un attimo e di averti potuto salutare come non sono riuscito anni fa", sorrido debolmente, il riccio annuisce sospirando ma non aggiunge nulla.

"Beh, te lo dovevo", ribatte. "Te lo dovevo anche io", sorrido mentre apro la porta ed esco sul pianerottolo. Mentre tiro fuori le chiavi dalla tasca Ashton si affaccia e mi saluta con la mano. "Beh, allora ciao", mi dice, guardandomi mentre apro la porta. "Ciao", lo saluto io, a mia volta, sorridendogli di nuovo prima di veder sparire la sua figura dietro la porta.

THE END

SPAZIO AUTRICE

Ritorno con lo spazio autrice per ringraziare tutti quelli che hanno deciso di leggere questa storia, siete stati gentilissimi e spero che vi sia piaciuta tanto quanto è piaciuta a me. Ringrazio tutti i voti, i commenti, chi mi ha supportato, chi mi ha scritto anche su instagram, chi ha letto "senza lasciare traccia". Ho voluto lasciare un finale aperto perché, citando Venditti, «certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano», e poi dai, i Cashton se lo meritano un finale così. Vi ringrazio per essere arrivati fino alla fine e di avermi sostenuta, vi voglio bene 🍑.


All the things he said • Cashton HoodwinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora