Alcuni mesi dopo…
Rientro a casa sentendo un vociare che si abbassa quando entro in sala. “Cal, sei tornato“, vedo mia madre girarsi verso di me. E, un attimo dopo di lei, vedo Ashton. Il mio Ashton. Che mi sorride come solo lui sa fare. “Ashton“, mormoro felice prima di correre ad abbracciarlo, non mi interessa che i miei ci vedano. Il riccio mi stringe, sono così felice che sento i miei occhi inumidirsi. “Uhm, Calum, perché non accompagni Ashton nella camera degli ospiti? Io e la mamma dobbiamo uscire“, sento ridacchiare mio padre. “Vieni con me“, dico senza staccare gli occhi da Ashton, che distrattamente prende il suo borsone per poi seguirmi al primo piano. “Perché non mi hai detto che venivi?“, gli chiedo dopo avergli fatto lasciare le sue cose nella camera degli ospiti. “Hai idea della faccia che hai fatto quando mi hai visto? Sapevo che farti una sorpresa sarebbe stata la cosa migliore“, si stringe nelle spalle. “Ad ogni modo, sono in città per dei convegni a cui partecipa anche tuo padre, mi ha proposto di rimanere qui a casa vostra perché sapeva saresti stato felice“, mi sorride prima di baciarmi a stampo.

Sorrido contro le sue labbra, dio quanto mi erano mancate. Mi lascio stringere mentre Ashton si butta sul letto a due piazze facendomi cadere sopra di lui. Ci guardiamo negli occhi come se da ciò dipendesse la nostra sopravvivenza mentre ci sorridiamo. “Mi sei mancato davvero tanto“, sussurra sorridendomi mentre mi stringe a sé, io chiudo gli occhi beandomi della sua presenza, quasi non voglio riaprirli per paura che sia tutto un sogno e che Ashton non sia davvero accanto a me. “Quasi non ci credo che sei qui“, alzo lo sguardo dopo svariati minuti di silenzio prima di baciarlo schiudendo subito le labbra, le mani del riccio mi scompigliano i capelli. Non potrei desiderare una sensazione migliore, è come una boccata d’aria fresca. “Lo sai che adesso rimarrò a dormire qui per tutto il tempo?“, rido. “Era proprio quello che volevo, sempre che ai tuoi non crei disagio“, si stringe nelle spalle il ragazzo accanto a me. “Papà non ti avrebbe proposto di dormire qui se gli avesse dato fastidio“, lo guardo. “Quand’è così“, sorride prima di baciarmi di nuovo.

Non mi ferma quando gli sfilo la maglietta, anzi mi aiuta togliendosi il resto dei vestiti e aiutandomi con i miei prima di riunire i nostri corpi. Vengo con un sospiro mentre Ashton mi guarda negli occhi senza preoccuparsi del rumore che potremmo fare.. “I tuoi come l’hanno presa? Di noi intendo“, mi chiede Ashton mentre si rimette i boxer. “Non ne abbiamo mai parlato esplicitamente, ma se sei qui ora non credo abbiano avuto problemi“, mi stringo nelle spalle. “In effetti, da come tuo padre ha fatto riferimento al fatto che saresti stato felice ad avermi a casa tua sicuramente intendeva anche questo“, ride riferendosi ai due.

“Sapeva che sarei stato felice, il giorno in cui sei partito credo che abbia capito tutto“, sospiro mentre Ashton si infila di nuovo sotto le coperte e mi stringe di nuovo a sé. “Quanto vorrei essere nella tua stessa situazione“, gli sento dire a bassa voce. “Cosa intendi?“. gli chiedo. “Uhm, no, nulla“, mi sorride, ma mi accorgo che quel sorriso è tirato. Decido di non indagare oltre, sperando che mi dica da solo cosa gli passa per la testa. “Ragazzi, venite a mangiare?“, sento la voce di mia mamma fuori la porta. “Sì, arriviamo“, urlo, alzandomi dal letto e iniziando a vestirmi, Ashton fa lo stesso. Lo guardo brevemente mentre finisce di vestirsi e lo sento sospirare prima di accorgersi che lo sto fissando, ma fa ancora finta di nulla mentre mi prende la mano per scendere a mangiare.

******

“Voglio fare un brindisi ad Ashton“, dice mio padre alzando il bicchiere col vino, “e alla nostra collaborazione. Questi convegni sono andati alla grande“. “Sono onorato di aver contribuito alla buona riuscita“, sorride Ashton prima di battere il suo bicchiere con quello di mio padre e quello di mia madre prima di guardare me e sorridermi. Il suo sorriso nei miei confronti, però, non è rilassato, tutt’altro. E si fa anche più teso quando il riccio si alza in piedi. “Ho un’altra cosa da dire“, annuncia, guardando me più che altro. I miei genitori si guardano preoccupati prima di guardare me con apprensione, e questo mi mette in agitazione. Odio essere l’ultimo a sapere le cose. “In primavera mi sposo“, dice semplicemente, guardandomi. Sbatto gli occhi ripetutamente, avrò sentito male. Sì, è sicuramente così. Rido nervosamente mentre guardo alternativamente mio padre, mia madre e Ashton, ma nessuno di loro sta ridendo. Non ci vuole un genio per capire che non è uno scherzo.

Fisso il riccio intensamente mentre sento gli occhi farsi lucidi mentre mi alzo ed esco velocemente dal ristorante. Inizio a piangere una volta fuori mentre mi siedo su una panchina non troppo distante. “Calum!“, sento la voce di Ashton chiamarmi, ma non alzo lo sguardo. “Calum, ti prego, perdonami“, si avvicina ma io mi alzo in piedi di scatto e mi allontano. “Perché l’hai fatto? Dimmi solo perché“, gli urlo contro, la gente che passa ci guarda ma non mi interessa. “Io non… non sapevo come dirtelo“, parla, iniziando anche lui a piangere, “non volevo farti soffrire“. “Perché credi che dirmelo l’ultima sera che avremmo passato insieme sarebbe stato meglio?“, parlo tra le lacrime. “Sono un coglione“, scuote la testa. “No, non sei un coglione, sei uno stronzo. Un fottuto stronzo che per tutto questo tempo mi ha solo illuso“, sputo. “Non ti ho illuso, tutto quello che è successo tra noi è stato reale, ma c’è un ballo qualcosa di più grande di me“, cerca di spiegarmi. “Non me ne faccio niente delle tue spiegazioni. Avresti potuto parlarmene ma hai preferito non farlo, ormai non voglio saperne nulla“, gli dico freddo prima di tornare dentro. “Calum ti prego, non volevo farti del male“, cerca di prendermi la mano, ma non glielo permetto. “Non vedo perché dovrei crederti ancora“, gli lancio uno sguardo carico di rabbia e dolore mentre ricaccio dentro altre lacrime che minacciano di uscire.

I miei mi guardano pallidissimi quando mi siedo di nuovo a tavola. “Voi sapevate, non è vero?“, chiedo a entrambi che annuiscono piano. Mi mordo il labbro, non voglio urlare contro di loro, d’altronde non era a loro che spettava dirmi che Ashton si sposa. Il riccio torna accanto a me ma io mi allontano di scatto. Mentre torniamo a casa l’atmosfera in macchina è tesissima, ogni tanto sento lo sguardo del riccio su di me ma lo ignoro. Una volta a casa, saluto i miei genitori e salgo in camera mia, che è accanto a quella degli ospiti. Ashton mi guarda mordendosi il labbro, ma non si avvicina. Come potrebbe avere il coraggio di farlo dopo quello che mi ha fatto? Dopo avergli lanciato un ultimo sguardo di pietra, mi chiudo a chiave nella mia stanza.

*****
Mi sveglio con il mal di testa, il sole è alto nel cielo e non sento rumori in casa, segno che probabilmente sono solo. Mi alzo di scatto e apro la porta della mia stanza, lanciando uno sguardo alla camera degli ospiti. E’ vuota, il letto è sfatto. Inizio a piangere perché realizzo che Ashton è andato via e nessuno si è preoccupato di svegliarmi. Entro nella stanza e trovo un biglietto piegato sul comodino. “Per Calum“, leggo. Lo prendo in mano mordendomi il labbro per poi tornare nella mia stanza.

Se stai leggendo questo è perché, alla fine, non sono riuscito a salutarti in un altro modo. Calum, tu non hai la minima idea di come mi sia sentito dopo le ultime parole che mi hai sputato addosso. Non posso certo biasimarti, io per primo mi odio profondamente per non averti parlato prima del mio matrimonio, ma la verità è che speravo fino all’ultimo di non dover compiere questo passo. Purtroppo, c’è in gioco una questione più grande di me, e mi fa tremendamente male l’idea che per una cosa che nemmeno dipende da me tu adesso mi odi, ma non te ne faccio una colpa. Darei via un braccio per avere un ultimo bacio da te, per poter rivedere il tuo sorriso, credimi. Spero solo che un giorno riuscirai a perdonarmi.
Tuo per sempre,
Ashton“.

Arrivo alla fine del messaggio scosso dai singhiozzi, non posso crederci che sia finito tutto così, senza un saluto, un abbraccio, uno sguardo. Nulla di nulla. Ormai l’ho perso. Si è portato  via una parte di me, questa volta per sempre. Avrei voluto dirgli che non lo odio davvero, che qualunque problema avesse non ce l’avrei mai avuta con lui, ma non posso più farlo.

E non mi odierò mai abbastanza per questo.

All the things he said • Cashton HoodwinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora