9. Riflesso

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Petra dormì poco quella notte. Quelle immagini che il capitano Levi le aveva richiamato alla memoria galleggiavano pigramente nel mare dei suoi pensieri, allontanandosi e riavvicinandosi a proprio piacimento, senza mai lasciarsi ghermire.

E poi quell'abbraccio... era stato un gesto così istintivo e impulsivo, così sconsiderato, che anche da sola, in quella stanza buia, riusciva a stento a soffocare l'imbarazzo. Eppure in quel momento le era sembrata la cosa più giusta da fare: voleva che si spogliasse di quella maschera, di quella corazza che si costringeva a indossare; e quale miglior modo per metterlo ai ferri corti, se non l'invasione del suo sacro spazio vitale?

Quando si svegliò doveva essere mattino inoltrato, a giudicare dalla luce del sole che penetrava direttamente nella sua stanza. Guardandosi le gambe notò che il lenzuolo vi si era attorcigliato così scompostamente, che comprese che le sue ore di sonno, già insufficienti, non dovevano essere state tranquille.

Lanciando un'occhiata all'orologio sul comodino vide che erano le nove e mezza: non si era mai svegliata così tardi. Poi notò un foglietto di carta e lo afferrò per leggerne il messaggio.

Sono andata in città a comprare delle medicine. Tornerò verso pranzo, tu non fare sforzi eccessivi.
Esme

Petra sospirò. Stava considerando la prospettiva di rimettersi a dormire, stanca com'era, quando le balenò in mente l'idea di farsi un giro in quel castello. Era così annoiata da quella quiescenza obbligata che sentiva il bisogno di trovare qualcosa da fare.

Era indolenzita dallo sforzo eccessivo del giorno prima, ma si costrinse ad alzarsi e a prepararsi per uscire dalla stanza. La schiena le doleva più di ogni altra cosa, anche se la sofferenza fisica era diminuita molto rispetto al giorno in cui si era svegliata, spaesata e tormentata da ferite di cui non ricordava l'origine.

Mentre si accingeva a indossare la camicia, i suoi occhi furono attirati dallo specchio appeso sopra il cassettone di legno che conteneva i suoi effetti personali. Vide il proprio viso e i graffi cicatrizzati che le ornavano tristemente le guance pallide. Vide il profilo del proprio corpo martoriato da ferite riflesso in quella lastra lucida. Non era questo il corpo che ricordava, non era questo che... La sua attenzione fu catturata dalle cicatrici sulla schiena, ancora rossastre per via delle medicine che Esme vi applicava ogni giorno.

Nel momento stesso in cui si voltò per osservarle meglio, un'immagine tremenda le si presentò nella mente. Un gigante enorme, così grande da adombrare ogni cosa intorno a sé... correva... ogni passo era come un piccolo terremoto... la terra tremava... urla... sangue... e volti... volti sconosciuti eppure così stranamente familiari... volti di persone morte...

Qualcuno bussò alla porta, riportandola bruscamente alla realtà. Si allontanò dallo specchio, voltandosi dall'altra parte, e finì rapidamente di indossare la camicia, per poi camminare traballando verso la porta e aprirla.

«Sì?»

Era il capitano Levi, vestito di tutto punto come sempre. La camicia bianca era così perfettamente candida e così perfettamente stirata che Petra dubitava che quella potesse essere opera umana: doveva aver fatto un patto con il diavolo.

«Tch. Ecco la dormigliona» disse lui, inclinando leggermente la testa. «È una fortuna che tu abbia deciso di svegliarti, perché questa volta sarei entrato anche senza aspettare una tua risposta».

«Cosa?»

«Sono passato un paio di volte, ma non hai risposto. Ho pensato che fossi affaticata dalla giornata di ieri, quindi ti ho lasciata in pace. Ma sono le nove e mezza, quindi...» Si interruppe e aggrottò le sopracciglia. «Hai pianto?»

It Happened Quiet || RivetraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora