6. Insonnia

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Quel soffitto era lercio. Le travi erano così impolverate, ai suoi occhi, che più le guardava più gli veniva voglia di pulirle. Gli sembrava che la polvere gli cadesse in grani enormi sul viso, coprendolo interamente.

Una fitta alla gamba lo fece grugnire e rigirare nelle lenzuola fresche di bucato, con il viso rivolto verso la finestra. Non guardava più il soffitto, ma sapeva che la sporcizia era ancora lì. Nella sua mente riusciva a ripercorrere ogni minima venatura del legno, ogni suo minimo nodo, nonostante il fuoco nel camino non riuscisse a illuminarli chiaramente.

Insonnia.

Raramente l'aveva vissuta così male, ma c'era da dire che fino a quel momento aveva sempre avuto qualcosa da fare per distrarsi e farsi venire sonno. L'inerzia cui era stato condannato dalla sua maledetta gamba, ora, lo stava lentamente uccidendo.

Gli incubi gli impedivano di dormire serenamente – soprattutto quello nuovo, che da qualche giorno lo tormentava e che puntualmente poneva fine alle sue già minime ore di sonno; questo si era distinto dagli altri per la mancanza dei tratti comuni dei suoi sogni: sangue, arti amputati, scenari truculenti e giganti disgustosi.

No, era assai più subdolo.

Chiudendo gli occhi riusciva ancora a ricordarlo con precisione: Petra gli sorrideva dolcemente; i suoi occhi ambrati brillavano come pietre preziose; e lei gli tendeva una mano, ma più lui cercava di afferrarla, più quella diventava inconsistente, fino a sparire; e continuava a sorridergli in quel modo amorevole, invitandolo ad avvicinarsi, ma più correva, più si sentiva lontano da lei. Era semplicemente irraggiungibile.

Sbuffando si rese conto che quel sogno non era tanto diverso dalla realtà. Per quanto Petra si sforzasse di essere carina con lui ed Eren, di stare al loro gioco, Levi aveva capito quanto fosse distante. Quella non era Petra. E Levi temeva fortemente che non lo sarebbe stata più. Temeva che, non appena fosse guarita fisicamente, se ne sarebbe andata. E questo non poteva accettarlo.

Sarebbe stato tutto molto più semplice se fosse morta e basta, me ne sarei fatto una ragione e sarei andato avanti, pensò istintivamente, per poi pentirsene subito dopo. Forse no.

E si rese conto che aveva sottovalutato il problema. Petra, nella propria testa, non aveva idea di chi diavolo lui fosse, tantomeno Eren, tantomeno Hanji, tantomeno chiunque del Corpo di Ricerca. Probabilmente, le era più facile credere di essere caduta dal tetto di casa, piuttosto che di essere stata attaccata da un gigante. Questo lui non l'aveva capito a fondo se non in quelle ore di autoimposta veglia notturna.

I momenti in cui i suoi genitori venivano a visitarla erano quelli in cui riusciva a sorridere il più genuinamente possibile. Ed erano quei sorrisi ad allontanarla sempre più dalla vecchia se stessa. Da lui. Doveva fare in modo che ricordasse.

Doveva.

Quando i raggi del sole penetrarono dalla sua finestra minuziosamente lustrata, Levi si alzò sospirando. Non era certo di quanto avesse dormito – forse un paio d'ore, forse tre, con un po' di fortuna.

Non aveva ancora ricevuto notizie da Erwin, solo una lettera di Hanji che chiedeva quali fossero le condizioni di Petra e lo informava che non avevano ancora scoperto nulla sul gigante femmina. Se solo avesse potuto, l'avrebbe inseguito fino in capo al mondo, quello stronzo, per farlo soffrire nel peggiore dei modi e fargli desiderare la morte come una benedizione divina. Tuttavia, poteva solo sperare che Eren lo facesse al posto suo.

Si trascinò fino in bagno per lavarsi e prepararsi. Si sciacquò la faccia più e più volte, come per cercare di decolorare le proprie occhiaie, segni delle notti insonni, e rasò con gesti meticolosi e precisi il principio di una barba che non avrebbe mai sopportato di vedere sul proprio viso, fermandosi solo quando si sentì pienamente soddisfatto.

It Happened Quiet || RivetraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora