Prendo un taxi e, prima di andare a casa, la mia casa, vado alla spiaggia dove Giuseppe mi ha portato alcune settimane fa.
Mi accovaccio su uno scoglio e respiro a lungo l’aria salata, ha un sapore diverso dal solito, ma so che dipende da me. Prendo dalle tasche del giubbotto le targhette che vi conservo, le getto in acqua e annego Valentina la puttana.
So che non tornerò più da Marco e nemmeno a questa spiaggia, i luoghi di passaggio non fanno per me.
Io resisto.
Io resto.
Io resto pulita.
E Giuseppe?
Non so se lo rivedrò ancora, ma anche lui, a modo suo, resta.
Pulito lo è sempre stato, anche troppo per questo mondo. Ma non sono né sarò mai abbastanza altruista da volerlo meno innocente, anche solo quel tanto da salvarsi, perché se non fosse innocente non avrebbe salvato me.
Due vuoti insieme non danno nulla, ma il Presidente, vuoto non lo è mai stato e io ho avuto la fortuna di godere dell’infinito che sa donare, anche se per poco, anche se per tanto, quando di solito i miei rapporti si misuravano in ore e banconote.
A volte penso di essermelo solo sognato perché Giuseppe mi manca come solo i sogni possono mancare, una nostalgia vivida e realissima di immagini affidate al vento.
Non le banconote, non il contratto, nemmeno il biglietto di quella prima sera sono la testimonianza più valida che di un sogno non si è trattato, ma quella targhetta spezzata mesi fa, che conservo ancora nella scollatura, dove Giuseppe mi ha insegnato che ho anche un cuore.
Ora ci pensi lui a battere.
Io ho già dato.
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UN LAVORO SPORCO: •Giuseppe Conte Fanfiction•
FanfictionTratto da uno dei capitoli ~Sei una bellissima ragazza, Valentina. Ma ti hanno insegnato a esserlo nel modo peggiore.~