Il tintinnio delle chiavi che avevo lanciato sul tavolino fu l'unico rumore che mi accolse quando ritornai a casa. Quel piccolo appartamento che avevo trovato ad Azgeda continuava ad essere sconosciuto per me, nonostante il fatto che ci avessi vissuto per ben otto anni.
Eppure, non c'era nulla che mi fosse familiare, nulla che mi facesse sentire a casa o al sicuro. Era un semplice luogo freddo, buio e vuoto in cui andavo a dormire. Casa mia era un'altra; casa mia era L...casa mia non era quella.Sospirai, cercando di allontanare i pensieri bui che mi tormentavano appena mi trovavo in compagnia della solitudine. Tolsi le scarpe, lasciandole accanto alla porta e mi lasciai cadere sul divano. L'appartamento era così piccolo che appena aperta la porta d'ingresso, ci si ritrovava in quello spazio suddiviso tra cucina, un minuscolo tavolo che nemmeno usavo e il divano che era diventato anche il mio letto. Di fronte alla porta, c'era quella che consentiva l'accesso nel minuscolo bagno. Non era il meglio, ma all'epoca era stata l'unica cosa che mi ero potuta permettere senza un impiego. Comunque, come avevo già detto, era soltanto il luogo che utilizzavo per dormire.
Contemplai il soffitto, cominciando a sussurrare dei numeri per evitare di cadere nei miei soliti pensieri assurdi. <<Conta per quattro>>, mi aveva detto quella bambina dai capelli biondi talmente scuri da sembrare quasi castani.
<<Contare per quattro?>>, le avevo chiesto. Lei aveva sorriso, mostrandomi che i suoi occhi verdi si illuminavano quando era divertita.
<<4, 8, 12...e così via. Mi aiuta a mantenere la calma quando mi fanno innervosire>>, aveva risposto.
<<Non sarebbe più comodo contare direttamente da 1 fino a 10?>>, aveva domandato un'altra bambina, dai capelli castani più scuri, quasi color mogano.
<<No, ci impiego troppo poco tempo e l'arrabbiazione non mi passa>>, aveva mormorato, alzando le spalle. <<Così, invece, devo perdere tempo a contare per quattro ogni singola volta e solitamente quando arrivo a 32, non ricordo nemmeno perché ero nervosa>>.
<<Non credo si dica "arrabbiazione">>.
<<Non credo mi importi>>.<<Quattro>>, cominciai, cercando di dimenticare. Quattro: i treni che avevo preso per andare via da Polis.
<<Otto>>. Gli anni passati lontana da casa.
<<Dodici>>. Le persone importanti che mi ero lasciata alle spalle.
<<Sedici>>. I giorni che mancavano all'anniversario di quel fatidico giorno.
<<Clarke!>>, una voce mi risvegliò dai miei pensieri, che avevano definitivamente avuto la meglio in quella lotta interiore che mi dilaniava.
Mi alzai dal divano, recandomi verso la porta per poterla aprire e smettere di stare da sola. Forzai un sorriso, che poi mostrai a Niylah quando incontrai i suoi occhi divertiti.
<<Non dirmi che sei appena ritornata da lavoro e stavi già dormendo>>, disse, sorridendomi con divertimento. Entrò nell'appartamento, come se fosse suo. Roteai gli occhi, anche se comunque trovato confortante la sua presenza in momenti come quello.
Niylah era una spumeggiante biondina che viveva in quel palazzo da almeno tre anni. La sua storia sembrava quella di una protagonista dei film: i genitori l'avevano cacciata di casa nel momento in cui aveva detto loro di non voler seguire le loro orme, quindi piuttosto che studiare legge, voleva studiare per diventare un'artista. L'amore per l'arte e il fatto di essere due ragazze che si erano allontanate improvvisamente di casa, avevano fatto sì che legassimo sin dal primo momento.
<<A differenza tua, qui c'è qualcuno che lavora e che torna a casa distrutto>>, la presi in giro, sedendomi accanto a lei sul divano.
<<Lo cambieremo questo divano, promesso. E' troppo scomodo>>, dicemmo nello stesso momento. La conoscevo da così tanto tempo da sapere perfettamente che quando si muoveva con la schiena contro il divano, quella frase avrebbe lasciato le sue labbra poco tempo dopo.
<<Non sei divertente>>, disse, puntandomi un dito contro.
<<Potresti uscire e non tornare mai più>>, le ricordai, alzando le spalle.
<<Ti mancherei troppo>>, commentò, sporgendosi in avanti per prendere il telecomando della piccola televisione (che lei mi aveva dato) che si trovava alla sinistra del divano. A me non piaceva molto guardarla, perciò l'avevo posizionata affinché fosse in direzione di dove era solita sedersi Niylah.
<<Hai una lettera>>, mi fece notare la biondina mentre accendeva il televisore.
<<Grazie per essere sempre così invadente>>, mormorai.
<<Se non fossi invadente, l'avresti ignorata credendo che fosse un'altra bolletta>>, disse con sdegno.
<<Magari è da parte di uno zio che ti ha lasciato tutto in eredità>>, aggiunse poco dopo, guardandomi con un sopracciglio inarcato maliziosamente.
<<Certo, certo>>.
Presi la lettera, girandola affinché potessi leggere il nome del mittente e persi ben nove anni di vita. Persino quando ero solita andare a correre la mattina, il mio cuore non aveva mai battuto con così tanta violenza. Temevo che, una volta abbassato lo sguardo, avrei trovato una protuberanza pulsante che minacciava di uscirmi dal petto. Sbattei le palpebre numerose volte, cercando di comprendere se avessi letto correttamente il nome.
Ovviamente sapevo che sapeva dove mi trovavo, poiché nel primo periodo in cui ero giunta ad Azgeda, era stata lei ad aiutarmi mentre cercavo un lavoro. Non importava cosa fosse successo, avevo sempre la certezza che lei si sarebbe presa cura di me...di noi.
<<E' davvero morto qualcuno?>>, domandò Niylah con preoccupazione.
<<No, no...solo che...non mi aspettavo una sua lettera>>, mormorai, mordendomi il labbro inferiore.
<<Aprila. Non riuscirai a leggerla se osservi l'involucro>>, incalzò con un sopracciglio inarcato.
Mi schiarii la gola, affrettandomi poi ad aprire la busta. Ne uscirono un biglietto aereo e un foglio di carta. Il biglietto aereo aveva come destinazione Polis, la città dalla quale ero scappata otto anni prima. Il foglio di carta era colorato da una calligrafia ordinata, così tipica di Costia che quasi mi venne da sorridere. Tuttavia, la parola che ci trovai scritta mi mozzò il respiro nei polmoni.
<<Proteggila>>, lesse Niylah a voce alta, toccandomi con la spalla. <<Proteggere chi?>>, domandò.
<<...una notizia dell'ultimo minuto>>, giunse alle mie orecchie la voce della presentatrice di uno dei telegiornali.
<<L'impresaria Costia Green è stata trovata priva di vita poche ore fa nel suo ufficio. La polizia non ha ancora confermato nulla, ma delle voci lasciano intendere che si sia trattato di un omicidio>>.
Un urlo abbandonò le mie labbra e fu talmente forte che rabbrividii insieme a Niylah. Mi lasciai cadere in ginocchio sul pavimento, portandomi le mani al volto. Caddi in avanti, assumendo una posizione quasi di preghiera. Dei respiri affannosi cominciarono ad abbandonare le mie labbra, i muscoli delle braccia e della schiena si irrigidirono e temetti che stessi cominciando a diventare di pietra. Tuttavia, ero sicura che un essere umano che sta per trasformarsi in pietra non prova così tanto dolore.
<<Clarke...>>. <<Ambulanza...Clarke?>>.
Non capivo chi stesse parlando o cosa stessero dicendo, poiché la mia mente cercava ancora di elaborare l'informazione inaspettata.
Sedici. I giorni che mancavano all'anniversario di quel fatidico giorno.
Dodici. Le persone importanti che mi ero lasciata alle spalle. Adesso, undici.
Otto. Gli anni passati lontana da casa.
Quattro. I treni che avevo preso per andare via da Polis e che avrei dovuto riprendere per ritornarci.
Tre. Amiche che nulla avrebbe dovuto separare.
Due. I cuori che caddero a pezzi al sentire quella notizia.
Una. La persona che, in quel momento, aveva bisogno di essere protetta.
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The future I found in the past
FanfictionQuando Clarke Griffin tornò a casa quella mattina, non si aspettava di certo di trovare una lettera che aveva come emittente Costia Green, la sua migliore amica d'infanzia. Ancor di più, non si aspettava di trovare un biglietto aereo per ritornare a...