Attese

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Draco rilesse il messaggio per l'ennesima volta: Stai meglio? Fammi sapere quando possiamo incontrarci.

Era vergato nella grafia chiara e ordinata della Granger, con le sue “o” che erano un cerchio perfetto e le “a” con la gambetta sempre ben visibile.

Perfino il suo modo di scrivere era fastidioso, ma almeno si lasciava leggere senza intoppi – e gli venne in mente la grafia di Theodore, un misto di geroglifici e alfabeto cuneiforme che nessuno, a volte neanche Theodore stesso, riusciva a decifrare.

Tornò al messaggio e strinse i pugni. La Granger glielo aveva lasciato la sera della prima partita di Quidditch, dopo il triste spettacolo che lui le aveva offerto cadendo dalla scopa – giusto qualche ora dopo aver più o meno augurato che la stessa cosa accadesse a Ron Weasley.

Che ironia.

Draco era stato trattenuto in infermeria per poco tempo, dopo essere stato soccorso: Madama Chips gli aveva dato un'occhiata e con un colpo di bacchetta, un unguento dall'odore pungente e tre gocce di pozione dolce aveva sistemato le sue costole incrinate.

Lui aveva pianto dal sollievo: ogni respiro lo aveva sempre più convinto che sarebbe morto – perché un dolore come quello non arriva per niente – ma alla fine se l'era cavata con poco, nessun osso da far ricrescere o denti persi per strada.

Nei giorni successivi aveva evitato Hermione come avrebbe evitato un Ippogrifo. Lei non aveva più cercato di contattarlo, dopo il primo messaggio, ma nei corridoi gli aveva lanciato occhiate molto eloquenti che più di una volta gli avevano fatto temere per la sua incolumità.

Una sera di quelle si sarebbe ritrovato un altro biglietto nella sacca da Quidditch, ne era certo, e questa volta Hermione non si sarebbe limitata a trascinarlo in giro per il castello per un altro incontro segreto nell'aula vuota del secondo piano. Gli avrebbe chiesto di gettarsi dalla Torre di Astronomia, o di giocare con gli animali di Hagrid, o qualche altra attività suicida di questo genere.

Infilò il quaderno sotto il cuscino e si preparò a salire in Sala Grande. Era ora di cena e lei sarebbe stata lì, e lui avrebbe fatto finta di non ricordarsi della sua esistenza – nonostante stesse diventando sempre più sensibile alle sue occhiate penetranti, le sentiva sulla pelle come minuscole punture di spillo.

«Draco!», lo chiamò Pansy. Gli indicò il posto accanto a lei e sorrise.

Con un sospiro, lui le si sedette vicino.

«Assaggia un po' di quella salsa», gli disse lei all'orecchio, indicando una salsiera colma di un denso liquido rossiccio. «Va con la carne».

La assecondò versandone una porzione abbondante sulle sue costolette, nonostante non avesse molto appetito. Non voleva che cominciassero le domande, né doversi svegliare nel cuore della notte e ritrovarsi a sgranocchiare gelatine al gusto di vomito o chissà cos'altro a causa della fame.

«Sei ancora arrabbiato per la partita? Non è stata colpa tua, lo sai».

Draco annuì, spezzettando la carne con un po' più di energia di quella necessaria. «Lo so».

Certo che non era stata colpa sua, non aveva mica chiesto lui al Bolide di colpirlo quando era a un passo dal guadagnare la vittoria.

Continuava a ripetere quel momento nella sua testa, all'infinito. Il dolore a un fianco, la sfera metallica che lo spingeva all'indietro, la stretta delle dita che si allentava. Si era sentito cadere, giù, giù, ancora giù, e poi era arrivato il buio.

Il suo viaggio verso l'infermeria era un susseguirsi di flash, suoni e immagini che squarciavano la nebbia della sua mente offuscata: Pansy che gli teneva la mano, Theodore che chiedeva quanto grave fosse la situazione, Daphne che insisteva per accompagnarlo nonostante fossero poco più che conoscenti.

Somnium Afficio (Dramione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora