32. Sfogo

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Ludwig sospirò, allontanando la sedia dalla scrivania e massaggiandosi la radice del naso.

Si tolse gli occhiali con le lenti anti luci UV del computer, che indossava assolutamente ogni volta che lavorava al pc, lasciando che la testa ritornasse a quelle semplici parole che gli aveva detto Lovino due giorni prima.

«Non é… lui. Non é Feliciano. Pare… un suo spettro… Forse leggermente meglio di come l'hai visto te, l'ultima volta… ma é ancora distante anni luce dal vero sé.»

Il tedesco scattò in piedi, frustrato.
Il suo fidanzato stava male e non poteva fare nulla per aiutarlo.

Era così abituato a salvarlo da tutto e tutti, aiutarlo anche nelle cose più semplici… e ora che la situazione era grave, lui era impotente.

E, fatto orribile, per l'italiano era lui il mostro. Era colui che l'aveva ferito, quando invece si sarebbe disintegrato definitivamente pur di trovarlo e salvarlo.

Una delle cose che Ludwig odiava di più era dover star fermo contro volontà. Come tutti aspirava ad una pausa, se gli impegni lo permettevano, ovvio…

Ma l'incapacità di rimanere impotente era una caratteristica intrinseca in lui. Se avesse potuto, avrebbe spostato montagne a mani nude, piuttosto che rimanere con le mani in mano.

E quella volta non differiva.
Una idea gli balzò in mente.
Trovare il colpevole.

Punirlo non avrebbe sicuramente portato indietro il vecchio Feliciano all'istante, ma sarebbe stato un punto di partenza.

Forse, avrebbe anche potuto capire perché era dovuto accadere, perché proprio a Nord Italia. Non poteva sapere se, però, si sarebbe ritrovato con solo un pugno di mosche in mano.

Ma era sicuramente certo che preferiva inseguire flebili ombre, piuttosto che rimanere un semplice e lontano spettatore della vicenda, quando era così coinvolto emotivamente.

C'era un unico posto da cui iniziare le ricerche e sperare che i colpevoli avessero fatto un piccolo errore, dando a lui la possibilità di rintracciarli.

Si tolse i vestiti casalinghi e mise su degli abiti comodi, afferrando telefono, portafoglio e chiavi dell'automobile, sfrecciando verso l'ingresso come una furia.

Gilbert, che in quel momento spuntò dalla sua dimora nel seminterrato del fratello, rimase sbigottito dalla furia bionda che gli passò accanto.

<Ohi, che c'è?> chiese l'albino al fratellino, un po' preoccupato.
<Vado… a fare un giro.> si inventò sul momento il biondo, mentendo spudoratamente.

Se gli avesse detto la verità, il prussiano l'avrebbe rimproverato e l'avrebbe osservato con quello sguardo di pietà e preoccupazione che ormai gli era attaccato in faccia quando lo fissava.

<Sì, certo, tu che vai a fare un giro in macchina? E sfrecci con tale velocità verso la porta? Non me la bevo.> asserì Gilbert, avvicinandosi a Ludwig, il quale si rifiutò di girarsi verso il maggiore.

<Cosa vuoi fare? Una pazzia come prendere un biglietto per Roma e andare da lui? Non siamo graditi. Romano non ti lascerebbe entrare.> commentò l'albino, tentando di installare del raziocinio nel fratellino.

<Non stavo pensando a nulla di così insensato… E in quel caso mi sarei preparato una borsa o uno zaino con dentro qualcosa.> ribatté il biondo.

<Scusa, ma ormai non so più cosa aspettarmi dal mondo… o da te. Feliciano é l'unico appiglio forte oltre a me che ti impedisce di isolarti dal mondo e diventare una macchina…> spiegò Gilbert a mezza voce, il tono palesemente triste.

<Mi so controllare. Sono padrone di me stesso.> asserì Ludwig, girandosi verso il fratello con sguardo severo.

<Non metto in dubbio che sei capo del tuo corpo… ma non puoi controllare le tue emozioni. Nessuno può, neanche le nazioni millenarie possono reprimere e comandare cosa sentono. E sicuramente non puoi farlo tu.> affermò invece l'albino.

<É da quando sono piccolo che la vita mi sputa in faccia. Ho imparato a farcela da me e controllarmi.> fece notare il biondo, un velo di dolore in volto e nel tono.

<Non é un controllo. É… reprimere tutto. Dio, ti devo ricordare come eri diventato nel 1945, in primavera?!> sbottò Gilbert, domandando retoricamente.

Ludwig spalancò gli occhi, neanche fosse spiritato o assalito da una rabbia improvvisa… per poi chinare il capo e stringere i pugni.

<Questa é una situazione tutta diversa, non c'è nessuna guerra, nessun governo pazzo… ma c'è una minaccia là fuori che ti ha colpito da vicino e tu stai male e non ti vuoi sfogare… Ed é così che finisci per fare cazzate. Perché piuttosto che sfogarti con le parole, preferisci sopprimere tutto con le azioni che ritieni più logiche!>

<Non é-> Ludwig provò a sminuire il fatto.
<É verissimo, cazzo, lo sai pure te. Non dire stronzate!> lo interruppe sul nascere Gilbert, una fiamma negli occhi tipica di chi porta avanti sempre le proprie battaglie con determinazione, credendoci.

<Non sei l'unico che é scosso e triste in questa situazione!> aggiunse il maggiore dopo qualche secondo, forse infierendo, ma con lo scopo di ricordargli che non era solo.

<Non é la stessa cosa!> ribatté Ludwig, tentando ancora una volta di staccarsi dal resto.

<Ovvio, perché io sono io e tu sei tu. Ma questo non vuol dire che io non provi nulla! Conosco Ita-chan da più di te e siamo grandi amici. Dannazione, l'ho pure aiutato nelle sue guerre per l'indipendenza contro Roderich! Ho avuto tutto il tempo del mondo per affezionarmi e l'ho fatto. Tutt'ora ci tengo tantissimo! E infatti soffro anche io.> affermò l'albino, sperando di sganciare una bomba metaforica addosso il fratello e farlo ragionare.

Il silenzio fu la sola replica.

<Ma almeno io so quando non devo più trattenermi e mi sfogo. Tu no. Quindi, ti prego, sfogati. Fallo per me, ma in primis fallo per te stesso. Non fa bene reprimere tutto sempre.> incalzò Gilbert, poggiando le mani sulle spalle di Ludwig.

I due Beilschmidt si fissarono negli occhi per dei lunghissimi e intensi secondi… e poi Ludwig cedette.

Tenendo il capo chino, iniziò a piangere e singhiozzare per tutte le cose ingiuste della sua vita, recenti e passate.

Era ingiusto che, da quando fosse nato, la maggioranza della sua vita fosse stata piena di insidie e difficoltà.

Era ingiusto che tutti, quando pensavano di lui e delle sue terre, per prima cosa pensassero al dittatore del secolo precedente e non tutte le cose positive realizzate.

Era ingiusto che proprio il suo fidanzato, colui che lui amava più di se stesso, soffrisse e non potesse aiutarlo e confortarlo perché era terrorizzato da lui.

La vita era ingiusta con lui.

E si concesse quella libertà spesso negatagli da piccolo, crollando emotivamente addosso il fratello maggiore.

Questi lo accarezzò con calma e delicatezza, un poco impacciato perché non era abituato ad essere di conforto per il fratellino.

Ma c'era sempre una prima volta per tutto. E così, gli fece da roccia, sull'uscio di casa loro.

Il mondo, quasi a scusarsi dei mille patemi, decise di rimanere silenzioso attorno a loro per vario tempo, lasciando loro l'intimità necessaria.

La vita diede un respiro di pausa a Ludwig, permettendogli di essere finalmente fragile, almeno una volta.



N/A: piccolo Luddy, anche lui soffre.
Infondo, ha sì e no nemmeno 300 anni, é piccino ed eppure di merda ne ha vista.

Mai più come prima...?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora