8. Inutile

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[N/A: non mi soddisfa molto come capitolo, avrei voluto forse renderlo più "cruento", ma comunque non é roselline e fiorellini, se non fosse già chiaro l'andazzo di questa storia dai precedenti capitoli.

Quindi, scusate per la poca "originalità" nelle "torture", mi sarebbe piaciuto venire su con altro, ma diciamo che tutto il resto trovato in incognito su google era troppo mortale e comunque preferivo concentrarmi sulle emozioni e sull'io del mio povero stellino Feli.

E sì, giusto perché così rigiro di più il coltello nella piaga in voi lettori, che comunque ringrazio perché questa storia é già le oltre 100 letture ❤]

Feliciano pigolò una preghiera, ma solo mentalmente, perché fu invece un verso rauco ad uscirgli dalle labbra.
Aveva perso la voce minuti e minuti prima: non sapeva chissà da quanto di preciso stava andando avanti quella tortura.

Il tempo era diventato effimero e più sfuggente del normale. Feliciano non riusciva a trattenerlo e a quantificarlo.

Non poteva neppure guardare in faccia il suo aguzzino, per supplicarlo attraverso le sue espressioni facciali.
L'aveva bendato dopo le prime ferite inflitte, ridacchiando malvagiamente e commentando quanto fosse stato "sbadato".

E il non poter vedere rendeva solo più nervoso l'italiano. Anche perché di conseguenza gli altri sensi si aguzzavano.
E quell'odore gli invadeva le narici, lo intossicava e lo soffocava.

Era una cappa potenzialmente mortale che lo avvolgeva; una sciarpa facilmente trasformabile in una corda per poter essere strozzato.
Voleva respirare altro, non voleva sentire quell'odore, era troppo simile al suo!

Ma l'altra figura, quasi sapesse del suo naso di natura ben più sviluppato rispetto gli altri, gli rimaneva premuto contro.

E così quell'odore non lo abbandonava e rendeva i tagli solo più dolorosi.
Non erano particolarmente profondi, o almeno non sempre, ma erano decisi.

Il suo carnefice era preciso, celere, diligente. Era un vero esperto di quel macabro settore.

Sapeva dove colpire, quale punto sul braccio avrebbe preso il nervo più debole o il capillare più fragile e secondario.

Era palesemente a conoscenza di come colpire per fare male efficacemente.
Sapeva come tagliare più lentamente, alla giusta profondità, per guadagnare il maggiore dolore alla vittima con la minor perdita di sangue.

Così lo svenimento, ormai l'unica speranza del castano di non sentire più dolore anche solo per poco, rimaneva lontana, visibile ma inafferrabile.

Ovviamente anche il dolore lo si sopporta fino ad un certo punto e poi si sviene, ma solitamente al dolore é accompagnato una perdita di sangue notevole o comunque considerevole.

Era macabramente affascinante osservare come qualcuno potesse essere tenuto lontano dal baratro dell'inconscio, rimanendo sveglio e vigile, nonostante i tagli che gli adornavano il corpo.

Era vero che era una nazione, e a loro ci voleva molto di più per "morire" rispetto a dei semplici umani, ma la vista di tutti quei tagli avrebbe potuto dare anche la nausea.

Alcuni tagli erano sottili e corti, quasi dei tratteggi, come nell'area sotto gli occhi, sulle guance e sul mento.
Invece altri ancora più delicati, ma ben più lunghi e per questo estremamente dolorosi, gli adornavano il collo.

Poi, fin dove il colletto degli indumenti aveva concesso, erano stati incisi alcuni tagli un po' più profondi proprio sulla clavicola, così sporgente nella corporatura asciutta del Nord Italia.

E questi erano stati solo i primi, quelli più semplici e sfiziosi. Il suo carnefice era ben lungi dall'essere soddisfatto, solo perché l'aveva sfregiato su volto e collo.

Aveva proseguito, divertito, col suo lavoro e sussurrando sadico nell'orecchio del castano, promettendogli ancora più dolore.
Gli ricordava come in un mantra che era solo all'inizio e che l'Inferno in cui avrebbe poi risieduto era tutto una discesa.

Una lenta, dolorosa ed inesorabile discesa in un baratro buio, da cui la figura gli prometteva che mai sarebbe uscito.
<Mettiti comodo Feliciano, perché da qui non ne uscirai. Rimarrai qua, dimenticato da tutti eccetto che da me, il tuo nuovo adorato compagno!> commentò la figura a voce bassa nell'orecchio del castano.

Intanto lasciava passare la punta del coltello lungo il braccio, sfiorandolo, quasi stesse decidendo dove recidere.

<Anzi, non metterti comodo...> ridacchiò la figura, premendosi contro il ragazzo.
Gli morse con animalesca forza il collo e piantò la punta del coltello sul gomito, più verso all'esterno che l'interno.

Ma questo non significò che non fece male.
Anzi.

Feliciano gracchiò ancora una volta dal dolore, sia per il morso sulla pelle delicata del collo, sia e specialmente per la lama che gli stava lacerando le carni.

<Rimani così; sofferente, piangente, supplicante... Mi piaci molto di più~> ridacchiò l'uomo.
Feliciano provò a volgere il capo verso dove sentiva provenire la voce maschile, ma una mano gli tenne ferma la testa, costringendolo a rimanere immobile.

<No, no, no~!> fece l'uomo sorridente, senza che ovviamente l'altro potesse vederlo.
Spostò la mano dal mento al collo, stringendo piano e spingendo il volto altrui contro il proprio corpo.

<Comando io! Tu non puoi muovere un muscolo senza che io te lo ordini! Puoi solo urlare dal dolore! Capito, puttanella?> fece gelido l'uomo, rafforzando man mano la presa sul collo dell'italiano.

Veneziano sentì il fiato mancargli.
Eppure trovò aria da espellere per gemere dal dolore quando sentì la punta del coltello conficcarsi dall'altro lato del gomito, ma andando più in profondità.

Il carnefice rilasciò piano la presa sul collo del settentrionale. La figura crudele rimase attaccata al corpo della vittima, passandogli di nuovo la lama sul braccio, per "decidere" dove colpire successivamente.

Intanto Feliciano aveva preso ad ansimare appena la trachea era ritornata libera.
E tutta l'aria che gli entrava nei polmoni era sempre pervasa da quell'odore troppo familiare.

Quell'odore che lo stava facendo pian piano nauseare.
Feliciano strizzò gli occhi da dietro la benda, piangendo disperato, abbassando un minimo la testa.

La mente era piena di pensieri.
Era affollata di supplice e scongiuri che non poteva esternare.
Si sentiva in preda ad un raptus di frenesia. Voleva scappare, urlare e piangere con forza.

Eppure non poteva fare niente.
Era totalmente impotente.
Debole.

Non riusciva a salvarsi o a preservarsi un minimo.
Si lasciava sprofondare senza opposizioni nel baratro in cui il carnefice lo stava spingendo, pungolandolo con crudeltà e insistenza.

Poteva solo tenersi dentro quel miscuglio di emozioni, desideri e pensieri che gravavano sul petto come un macigno di mille sottili aghi, che lo trafiggevano dove la lama della figura che lo torturava non poteva raggiungerlo.

Poteva solo sentire quell'odore invadergli le narici, sovrastando qualsiasi altra cosa, facendogli comparire d'istinto, davanti gli occhi, la figura di un qualcuno che non avrebbe mai voluto associare a tutto quello.

E intanto lui poteva solo essere il solito e inutile Feliciano Vargas.

Mai più come prima...?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora