Capitolo 1

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È una serata fredda, le stelle brillano come lucciole nel cielo di questa serata d'Ottobre.
Nuvolette di fiato si disperdono nell'aria, mentre cerco disperatamente di raggiungere il punto d'incontro con Ariel.
I miei passi sono l'unico suono udibile in questo vicolo deserto; per questo cerco di essere il più veloce possibile, stringendomi all'interno della mia giacca.
Mi guardo alle spalle; lo faccio ogni volta quando cammino da sola, per controllare che sia sempre tutto okay.
Sono una gran fifona, lo ammetto, non riesco neanche a guardare un film horror senza finire per nascondere il viso nelle mie stesse mani o per lanciare urli imbarazzanti.

Ho le nocche rosse per via del freddo, non mi sento quasi più le dita.
Svolto l'angolo e intravedo la macchinetta viola di Ariel, per poi fiondarmici dentro, sfregando le mani l'una contro l'altra per recuperare calore.
Tiro un sospiro di sollievo e abbandono il capo contro il sedile.

Ariel mi osserva con un sorriso divertito sulle labbra. « Stavi congelando, vero? » mi domanda, girando la chiave e rimettendo in moto l'auto.
La musica parte come un dolce sottofondo, ed io mi lascio cullare dalla guida della mia migliore amica.
L'abitacolo profuma di fragola, la sua essenza preferita.
Stringe il volante con una sola mano, l'altra è impegnata a ravvivarsi i rossi capelli all'indietro.
Il suo viso paffuto si apre in una smorfia, poi comincia a canticchiare, allegra come sempre.

« Cazzo, si. È un freddo bestiale, stasera. » ribatto, leggermente in ritardo.
Ma lei non ci fa caso, anzi, continua a fischiettare come se nulla fosse.
La guardo attentamente, cominciando a sentire i muscoli rilassarsi per via dell'aria calda.

È vestita casual come al solito; cappotto lungo color cappuccino, sciarpa nera al collo, maglioncino dello stesso colore, e un paio di jeans scuri.
È sempre perfetta e ordinata. La sua pelle è candida come la neve, costellata di lentiggini.
Lentiggini che ha anche sulle dita delle mani, dove indossa come al solito i suoi troppi anelli.

Nota il mio sguardo, e comincia a tamburellare le dita sul volante.
« Cosa devi dirmi, Chanel? »
Il suo tono di voce si incrina, come se fosse sul punto di esplodere.
Aggrotto la fronte e la guardo leggermente offesa.
« Nulla. Cosa c'è, ti è morto il gatto? »

Alla mia risposta secca, le sue labbra rosse si aprono in un sorriso amaro.
So che sta per partire con una delle sue ramanzine, per cui mi metto comoda e mi preparo ad ascoltarla, posizionando il gomito sul finestrino e poggiando il mento sul polso.

Lo sguardo si perde al di fuori di quell'abitacolo profumato alla fragola, nella notte buia, nei lampioni che si susseguono uno dopo l'altro.

« Non rispondermi in questo modo, lo sai che mi urta! E poi, per l'amor di dio, ne abbiamo parlato fino a ieri! Ti sto accompagnando soltanto per farti un favore, ma non dovresti dargliela vinta cosi a quella ... » le sue ultime parole si perdono nel momento stesso in cui mi volto a guardarla di scatto.
La sua mascella si contrae, e conoscendola, vorrebbe parlare più di quanto ha già fatto.

« E io ti ho già detto che ho bisogno di vederla. Mi ha chiesto di incontrarci, non c'è nulla di male nel parlare civilmente, no? E non ti ho costretto a seguirmi! »

Lei scoppia in una risata nervosa; si massaggia il mento con la stessa mano che prima stava usando per sistemarsi la chioma fiammante.
La lingua disegna il contorno delle sue stesse labbra, segnale evidente di una rabbia che vorrebbe venir fuori, ma che trattiene a stento.
« Certo, e come ci saresti arrivata fin lì? A piedi non di certo, con questo freddo? L'autobus neanche, perché tu e i mezzi di trasporto non andate d'accordo. E lei non si scomoda per venire sotto casa tua. Devo continuare l'elenco? »

Incrocio le braccia al petto, ed in questo momento ho davvero voglia di tirarle una sberla, per quanto sappia che in realtà ha pienamente ragione. Ma non voglio ammetterlo.

« Questo non vuol dire che ti abbia chiesto di venire con me. Sei stata tu a dirmi ieri sera ' certo tesoro, ti accompagno io. Vengo con te perché voglio staccarle la giugulare a morsi! ' »
Sollevo le sopracciglia, come a voler sottolineare il concetto.

Ariel si mordicchia il labbro inferiore, e frena d'un tratto al semaforo rosso, come se ci avesse pensato all'ultimo secondo.
Posiziona entrambe le mani sul volante e tira un lungo sospiro.
« È ancora quello che ho intenzione di fare. Ma cosa rispondi al fatto che lei non si è neanche minimamente offerta di passare a prenderti da casa? »

Schiocco la lingua al palato, per poi aprirmi a mia volta in un sorriso falso e tirato.
« Sai benissimo che ha da giocare una partita. »

« Non accamparle scuse come al solito, Chanel, cazzo! Poteva passare a prenderti prima, avreste parlato e ti avrebbe portato con sè al campo, come avete sempre fatto in questi fottuti quattro mesi! » ribatte, senza darmi modo di continuare a parlare. Il suo tono di voce è di colpo più duro, più alto del normale.

Una rabbia insensata mi invade i pensieri, mi fa ribollire il sangue.
So che vuole soltanto il mio bene. So che quando si tratta di Sydney il mio cervello si rifiuta di restare lucido.
Ma non ho altra scelta, se non le parole che uso di continuo per difenderla. Le bugie dietro cui sono costretta a nascondermi.
Per difendere me stessa dalle critiche della mia migliore amica e di tutti gli altri.
Per difendere quello che eravamo, quello che c'è stato.
Per difendere qualcosa che non c'è più, e che forse in fondo non dovrei neanche difendere.

« Sa benissimo che detesto aspettare al freddo tutto quel tempo. » rispondo, abbassando lo sguardo sulle mie gambe, strette l'una contro l'altra. Rigida come un manico di scopa, sull'attenti, sempre pronta a combattere.

« Oh, andiamo, sempre le solite cazzate, Chanel. Non ti si regge più, davvero! »

Azzardo un'occhiata nella sua direzione. Stringe ancora il volante con entrambe le mani, e gli occhi sono accesi di emozioni contrastanti.

Sembrano lanciare scintille, e probabilmente, mi fulminerebbe se ne avesse il potere.

Resto in silenzio. Consapevole della verità che tira fuori al mio posto.  E d'altro canto, anche lei, consapevole, in cuor suo, di aver esagerato.
Per questo, quando si ferma all'ennesimo semaforo, la sua mano scivola sul mio ginocchio e lo stringe piano.
« Scusami, non voglio litigare con te. È che non sopporto l'idea che tu stia ancora male per Sydney. Insomma, spero che stasera vi chiariate, e che tu riesca davvero ad andare avanti. »
La sua voce si è ridotta ad un sussurro.
Evita di guardarmi, il viso girato dalla parte opposta alla mia, illuminato dalle luci della sera.

Continuo a non risponderle perché non posso prometterle una cosa che non riesco a giurare neanche a me stessa.
Come faccio a guarire da una cosa da cui non voglio guarire?
Come si fa a lasciarsi indietro il passato quando questo è ancora presente?
Come si fa a cancellare tutto quanto?
Non è come alle elementari, con le penne cancellabili, dove se fai un errore, puoi benissimo riprovare.
Non è come su uno stupido foglio bianco.
Questa è la vita reale, e fa tutto più schifo.
Questa è la realtà.
Questa è la mia storia, la mia vita.

Più fa male e più si ama.
È dura da ammettere, ma è cosi.
Dove potremmo mai scappare senza farci trovare dal dolore ?
Dovremmo cambiare continente , cambiare vita, nome, identità.Ma servirebbe a qualcosa ?
Serve davvero scappare se poi il dolore ce lo portiamo dentro come un ricordo difficile da dimenticare?

Potremmo ritrovarlo in una canzone, in una frase, in un'insegna di un negozio, in un colore, nelle luci dei palazzi, negli striscioni pubblicitari, nel sorriso di un bambino.
È come una macchia d'olio; non và più via.

Ariel ferma la macchina, e soltanto allora torno alla realtà .
Intravedo la rete del campo da calcio, e deglutisco, col cuore a mille, come ogni volta che so di esserle vicina, come ogni volta che avverto la sua presenza.

« Promettimi che starai bene. » sussurra, guardando dritto dinanzi a sè.
Seguo il suo sguardo; eccola lì, sta correndo sul campo da calcio, i capelli biondi legati all'indietro, la rasatura perfetta ai lati.

Si ferma, prende fiato.
Si appoggia alla rete con una mano incastrandoci le dita.
Il suo petto si alza e si abbassa ritmicamente.

Ariel la scruta con odio.
È come se il suo corpo lo stesse rigettando fuori.

E non so se cerco di tranquillizzare lei o me, ma quando le dico « Andrà tutto bene. » so che sto mentendo.
So che sono persa, e che forse non mi ritroverò mai più.

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