Capitolo 23

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Perchè ogni volta che piove, io e te finiamo per sfinirci l'una sull'altra?

Abbiamo questo modo malsano di cercarci disperatamente e poi di consumare ogni singola briciola di sanità mentale che ci rimane, nel solo modo che conosciamo.

Perchè è sempre cosi bello? Cosi bello che non riesco mai a farne meno.

È cosi tossico, cosi malato e perverso questo nostro volerci disperatamente. Questo voler fare di noi una sola cosa.

Non so come, ne dove, ne quando, finiamo in qualche stupido recidence in periferia, quelli a poco prezzo, dove di solito fuggono le coppiette come noi, che non hanno tempo da perdere.

Non so in quali condizioni abbiamo trovato la nostra stanza, non so come abbiamo percorso quel corridoio.

So solo che non mi sono mai sentita cosi persa.

Ogni muscolo tende verso di lei, ogni senso è in allerta, ogni centimetro di pelle va a fuoco.

Siamo l'epicentro di un terremoto.

Un terremoto che sconvolge tutto.

Siamo devestanti.

Perse completamente.

« Cazzo, bimba. Ora ti distruggo. » borbotta, a metà tra un bacio e l'altro, mentre percorriamo il corridoio senza staccarci l'una dalle labbra dell'altra.

È lei a spingermi ed io a camminare all'indietro. La sua lingua è famelica; mi lecca il mento ed ogni punto vicino alla mia bocca che riesce a raggiungere, finendo per inumidirmi il mento con la sua saliva.

Alle sue parole, mi abbandono in un gemito strozzato, e lei in tutta risposta, si piega leggermente verso il basso, mi afferra per le cosce e mi prende in braccio.

Mi stringo a lei, portandole nuovamente le dita tra i capelli bagnati.

Le tiro la testa all'indietro, mentre continua a camminare.

Vorrei dirle che mi ha già distrutto, ma forse al momento non mi importa.

Riusciamo ad arrivare a quella che sarà la nostra stanza; mi poggia contro la porta, cercando di aprire con la chiave.

E in quell'attimo di pace, mi concedo di guardare il corridoio, per assicurarmi che nessuno abbia assistito a questa scena.

Sydney la richiude con un debole calcio e poi mi trascina verso il letto, senza neanche guardarsi attorno.

Ma che senso avrebbe mai? Che ce ne importa di dove siamo, se stiamo insieme?

Mi abbandona sul materasso che cigola terribilmente.

In compenso è morbido come una nuvola.

Mi godo la sua visuale dal basso.

Gli abiti bagnati, il viso arrossato, le guance rosse e gonfie, i capelli sfatti.

Il rumore della pioggia che batte sulle finestre, la penombra di questa stanza.

« Facciamolo al buio. » le dico, dando voce ai miei pensieri.

Ma lei scuote il capo e si allunga verso il comodino accendendo il lume. La stanza si colora di un bagliore debole, illuminando a malapena il suo profilo.

« No. Voglio guardarti. » risponde, facendomi venire le vertigini.

Si spoglia con una velocità assurda, e dio, avrei voluto farlo io. Ma ora come ora non c'è tempo, e voglio soltanto sentirla su di me.

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