Capitolo 25

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« Chanel, ma dove sei? » la voce di mia madre rimbomba nel mio orecchio.

Dev'essersi allarmata, sarei dovuta tornare da almeno un paio d'ore.

Col telefono incastrato tra la spalla e l'orecchio, mi infilo i pantaloni, saltellando sul posto.

Sono del tutto asciutti e caldi.

Avverto lo sguardo di Sydney addosso, ma la ignoro.

A sua volta si sta rivestendo con aria lugubre, come se fossi stata io a ferirla, e non il contrario.

« Mamma arrivo, ho incontrato un'amica per strada e ci siamo fermate in un posto al caldo. » rispondo a mia madre, per poi allacciarmi le scarpe.

« D'accordo, ma non tardare oltre. Ariel è arrivata mezz'ora fa. Ti sta aspettando in camera. Vi ordino il sushi? »

Sentire nominare del cibo, dopo un pomeriggio del cenere, mi tira improvvisamente su di morale.

Almeno una cosa bella in questa vita mi resta.

E questa sicuro non mi lascerà mai.

« Va bene, ma non ordinarlo prima di mezz'ora. Dammi il tempo di arrivare. Comunque ora scriverò io ad Ariel. » rispondo, incespicando nella frase, mentre infilo la giacca sopra la felpa.

Chiudo la chiamata nel momento stesso in cui Sydney si alza dal letto completamente vestita.

« Pensavo saresti rimasta con me. Potevamo guardare un film, mangiare a letto. » mi dice, come se fosse colpa mia.

La guardo sconsolata.

« Syd.. ma cosa pretendi da me? Io... davvero, non so più cosa fare per guarire. Tu sei sempre tra i piedi. » le dico, abbandonandomi in un respiro lungo.

« Non mi lasci respirare. » termino , cercando di essere il più drammatica possibile.

« Vuoi che sparisca, allora? » mi domanda, guardandomi dritto negli occhi.

La sua espressione mi spezza in due.

Deglutisco e distolgo lo sguardo.

La parte più impulsiva di me, quella che sta dando ascolto alla ragione le direbbe che si, dovrebbe sparire per sempre dalla mia vita.

Ma quella che prevale su tutte, quella parte di me ancora legata a lei, quella parte che non riesce a mandarla via, vorrebbe dirle di no.

Vorrebbe restare in quel letto con lei fino all'indomani, trascorrere almeno un'altra notte insieme. Vedere un'altra alba insieme.

Ma significherebbe soltanto affrontare un nuovo dolore, un ennesimo addio.

Per questo non so cosa dirle. Per questo la guardo e resto in silenzio.

E lei lo interpreta ad un modo tutto suo.

Annuisce lentamente e a sua volta distoglie lo sguardo.

« Capisco. È giusto che sia cosi. »

E quando mi supera, avviandosi verso la porta, non provo neanche a fermarla, perché sono come immobilizzata.

Sento la porta aprirsi e poi chiudersi lentamente.

E quando so di essere rimasta sola, scoppio per la seconda volta in lacrime, guardando quel letto sfatto e sentendo improvvisamente la sua mancanza.

Mi manca il fiato.

Ma non urlo. Non ci riesco.

Il viaggio di ritorno lo passo singhiozzando.

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