Capitolo 6 • Sorpresa

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Al diavolo Halloween. Non avrei atteso due settimane per placare la voglia che avevo di vedere Maddie e per accertarmi che la mia paura di perderla fosse infondata.

In seguito al mio piantino segreto nella toilette vicina alla segreteria studenti, prenotai un biglietto aereo per l'indomani, ringraziando che fosse sabato e che, di conseguenza, non avrei perso lezioni. Mi sistemai il pullover, mi diedi una rinfrescata al viso e mi schiaffeggiai le guance, sperando che nessuno notasse che avevo appena avuto un crollo emotivo. Rabbrividii: da quando ne avevo? In che cosa mi stavo trasformando?

Jason e Flo avevano già preso posto in terza fila: non in prima perché sapevano che mi sarei agitato, ma neanche troppo in là perché mi piaceva interloquire col docente e, nonostante volessi evitare l'esibizionismo, non potevo nemmeno stabilire una distanza esageratamente scomoda. Nelle ultime file sedevano coloro che non si sarebbero mai sognati di fare domande e che, in caso avessero voluto abbandonare la lezione, non avrebbero prodotto molto rumore.

«Tutto bene?» si azzardò a domandare Jason.

La mia missione era fallita: nemmeno ai suoi occhi era passato inosservato il mio stato.

Tuttavia, il peggio era passato.

«No» confessai, privo di imbarazzo.

Flo, in evidente agitazione, mi si rivolse balbettando.

«V-vuoi... parlarne?»

«No» ripetei, sempre tranquillissimo.

La mia quiete dovette rassicurare anche loro, nonostante la confusione fosse palpabile, nell'aria. Scelsi deliberatamente di ignorare la cosa.

«Oggi è in ritardo» commentai ad alta voce, accennando alla cattedra.

«Lo è sempre, Peter» fece Flo, sempre confusa.

Calò il silenzio.

«Devo essermi distratto, allora. Grazie per l'appunto» mentii.

Come ogni volta che provavo a dire bugie, mi riuscì davvero male. Non sapevo neanche come fosse possibile, ma qualcosa nel mio tono di voce mi tradiva incontrollabilmente e, alle orecchie altrui, stonava parecchio.

«Sicuro di non volerne parlare?» tentò Flo.

Annuii, convintissimo.

«Hai sentito Maddie?» domandò Jason.

Il mio sguardo lo incenerì. Prima ancora che me ne fossi reso conto, avevo serrato le mandibole e teso tutto il corpo, il respiro corto.

Il mio amico alzò le mani in segno di resa.

«Fai come se non avessi parlato. Sappi che, comunque, se qualcosa non va puoi dircelo. Voglio dire, sono tutti così snob e superficiali, qui dentro, che non so su quante persone si possa avere la fortuna di contare...»

Flo annuì con veemenza, in totale accordo.

«Essere qui pesa a tutti in modo diverso, con le grandi aspettative che gravano sulle nostre spalle, ed è normale cedere un pochettino, essere umani invece che geni programmati per l'apprendimento rapido ed efficace, senza margine di errore. Possiamo dare anche meno del cento per cento, ogni tanto».

«Grazie, ragazzi. Vi ringrazio sul serio, ma non è Harvard il problema» li fermai, coraggiosamente evitando di cadere nelle mani del nervosismo.

In quel momento, il docente entrò in aula e stabilì il silenzio.

«Abbiamo fatto un passo avanti, almeno» sussurrò Flo, con aria desolata più che soddisfatta.

Non volò una mosca per due ore consecutive e ognuno di noi riempì i propri fogli di scritte, grafici, colori e note esplicative in ogni angolo. Uscimmo dall'aula respirando come se fossimo stati a lungo in apnea.

Un paio di ragazze riconobbero Flo e si fermarono a chiacchierare con lei, che ci presentò immediatamente.

«Callie e io facevamo danza insieme, mentre Erin è un acquisto delle scuole medie» raccontò.

«Sì, poi la cervellona ci ha abbandonate per fare economia» scherzò Callie.

Erin si limitò a scuotere il capo in disapprovazione.

«Vade retro, appassionata di diritto penale!» controbatté Flo.

Dedussi, a quel punto, che eravamo di fronte a due studentesse di giurisprudenza. Personalmente, non avrei studiato volentieri diritto penale neanche se mi avessero pagato profumatamente per farlo.

«Comunque, avete sentito della festa che daranno i ragazzi del nostro corso domani sera?»

Flo annuì. «Io e Jason ci saremo, ma su Peter non si può contare per queste cose. Sembra che persino un volume di diritto penale possa essere più interessante di un drink e della bella gente».

Callie strabuzzò gli occhi.

«Perdonami se inveisco così, visto che ci conosciamo da due minuti scarsi, ma che cos'hai che non va?!»

Le sue parole non mi scalfirono minimamente. Steve aveva impiegato anni a convincermi a presenziare ad una festa e, l'unica volta in cui avevo acconsentito ad organizzarne una, è successo un disastro. Se quella sconosciuta credeva di poter influire su di me in un qualche modo, si sbagliava di grosso.

«Semplicemente, non mi piace la gente. Trovo che "ammassarsi" sia sinonimo di "instupidirsi", il che equivale ad una colossale perdita di tempo, a mio parere. Non si fa che bere, mascherare cotte patetiche con giochini idioti e perdere la padronanza di sé» spiegai, lineare e conciso.

La mia interlocutrice ammutolì, mentre Erin cominciò a guardarmi con interesse.

«Anche io sono d'accordo con te, fino ad un certo punto: ammetti anche tu che la stupidità è divertente, però. Non vivrei saltando da una festa all'altra, ma ogni tanto può rivelarsi un diversivo niente male, no?»

Assottigliai lo sguardo, trovando inoppugnabile la sua logica, ma non cedetti ugualmente.

«Ho altri impegni, in ogni caso. Ci si vede lunedì mattina, ciao a tutti» tagliai corto.

Non mi sfuggì l'espressione di Flo, allibita e ferita insieme. Jason, invece, fece spallucce e contraccambiò il saluto. Callie ed Erin, interdette anche loro, rimasero immobili come mummie.

Avevo un bagaglio da preparare e molto studio da condensare in poche ore, dato l'imprevisto di dover prendere un aereo. Sfortunatamente, ero una di quelle persone incapaci di studiare ovunque: io avevo bisogno di un tavolo, una sedia e assoluto silenzio. Avere la consapevolezza di essere in volo, sentire tutti i rumori del velivolo e degli altri passeggeri, non avere un appoggio stabile e fisso per i libri erano tutti deterrenti molto forti, quindi rinunciai in partenza al proposito di studiare durante il volo.

Pensai di avvisare Maddie, ma poi optai per una sorpresa. Chissà, magari avrei riaggiustato le cose, presentandomi dal nulla soltanto per trascorrere un po' di tempo con lei.

Il mio umore beneficiò della prospettiva, quindi fui molto produttivo fino all'ora di andare a dormire e, l'indomani, mi svegliai ancora sereno e beato.

Agguantai il mio borsone, controllai di avere tutto ciò che mi serviva a portata di mano nelle tasche della giacca e mi voltai soltanto una volta per essere certo di aver lasciato tutto in ordine: tre ore e mezza dopo, in parte dovute al traffico di New York, ero di fronte a casa di Maddie, stanco ma felice.

Un'auto nera accostò a due passi dalla mia figura e ne uscì proprio la persona che stavo cercando, insieme ad un'altra.

Il mio sorriso si spense in un attimo.

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Il nostro Peter che si vergogna di essere un umano dotato di emozioni... Mi si stringe il cuore.

Voi che ne pensate?

Baci

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