Capitolo 17 • Giochetti

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La storia di Jason mi vorticò nella testa per giorni.

Seguivo diligentemente le lezioni, prendevo appunti con il solito piglio preciso, studiavo metodicamente in biblioteca, inspirando un po' di quell'aria che per secoli aveva dato ossigeno a personalità destinate a diventare illustri, verso la fine del percorso al campus. Mangiavo, osservando il viavai di gruppetti di matricole in continuo cambiamento, riconoscendo alcuni miei docenti e domandandomi chi fossero i colleghi con cui chiacchieravano, cartella alla mano e sigaretta tra le dita.

Seppur con distrazione, ascoltavo anche le conversazioni cominciate da Flo e Jason, ma ad un certo punto mi perdevo sempre. Il filo dei miei pensieri si aggrovigliava attorno a Maddie e calcolavo quante ore di lezione e di studio avrei perso se fossi andato da lei in quel momento. Avevo voglia di vederla, di mettere a posto le cose. Di baciarla come quella prima, lontana volta al ballo di fine anno delle superiori. Quando le sue labbra mi avevano ossessionato per mesi, mentre addentava una mela in mensa e mentre le immaginavo sulle mie, nei sogni che riempivano le mie notti.

Appuntai un piano di battaglia che esposi ai miei amici soltanto il venerdì mattina, a ridosso del finesettimana. Appena usciti da una lezione conclusasi in anticipo, decidemmo di stravolgere le abitudini e andare a mangiare il sushi in città. Colsi l'occasione fornita dal tempo di attesa al tavolo, subito dopo aver ordinato.

Il ristorante era di classe, arredato con colori scuri sulle piastrelle lucide del pavimento, i tavoli quadrati e le poltroncine che fungevano da sedie, lasciando alle pareti la libertà di sbizzarrirsi con ghirigori e disegni che dipingevano di azzurro, rosso e oro uno sfondo altrimenti bianco, tonalità che virava al panna su tovaglie e tovaglioli, di modo da rendere protagonisti assoluti dei tavoli piatti e bicchieri finemente decorati. A lato di ogni piatto, naturalmente, giaceva un paio di bacchette di legno incartate.

«Stanotte parto e vado da Maddie. Dite che faccio la stronzata del secolo?» me ne uscii con trepidazione, di punto in bianco.

Jason sorrise. «Era ora, amico. Sorprendila, sicuramente vi aiuterà a recuperare».

Flo esitò, quindi si pronunciò contenta per me. Fiutai del falso nel suo tono di voce poco stabile, ma evitai di porre domande le cui risposte avrebbero potuto non essere di mio gradimento.

«Ho calcolato che, in macchina, ci metterò circa quattro ore, quindi parto alle cinque e arrivo da lei per le nove, con dei muffin o qualcosa del genere».

«E pensi di andare avanti così ancora a lungo?» domandò Flo, tagliente.

Aggrottai la fronte, non capendo dove volesse andare a parare.

«Vedi un altro modo per tenere in piedi la relazione?» fece Jason.

«Una relazione che ti consuma, portandoti via tempo ed energie che altrimenti impiegheresti per studiare, che è il motivo per cui sei qui, non è una relazione che vale la pena tenere in piedi. Ogni weekend prendi, parti e vai da lei, carico di speranze. E ogni volta torni più giù di morale rispetto a quando sei partito. È preoccupante, Pete» si sfogò Flo.

Rimasi a bocca aperta.

«Preoccupante per chi, per te? Chi pensi di essere, per giudicare le mie scelte?»

Flo non si fece intimorire. «Una delle persone a cui stai chiedendo consiglio. E forse l'unica oggettiva, qui».

Dopo aver affossato sia me sia Jason in due frasettine spiaccicate, prese la borsetta e andò alla toilette, probabilmente per darsi una calmata.

Il cameriere depositò alcuni dei piatti che avevamo ordinato al nostro tavolo, ma non avremmo cominciato senza Flo. Cominciava a tirare un'aria strana, quella tesa che si respira quando si è represso a lungo un problema e, improvvisamente, sembra che sia il momento perfetto per tirarlo fuori.

Jason sbuffò, quindi prese coraggio e mi guardò negli occhi, un'espressione scocciata in volto.

«Flo ti muore dietro. Te ne sei accorto?»

Non pensai neanche di mentire. Non ce n'era bisogno.

«Io la vedo solo come un'amica. Non ho alcuna intenzione di tradire Maddie, né con lei né con altre».

«Sì, ma intanto lei sta cercando di distruggere i tuoi buoni propositi. Stai attento».

Non ebbi modo di rispondere perché l'oggetto della nostra conversazione stava tornando rapidamente a sedersi, in viso un'espressione indecifrabile.

Spostai l'argomento sulle vacanze natalizie, che erano ancora parecchio lontane ma pur sempre in vista e appresi che non ero l'unico ad avere una casa di montagna ad Aspen.

«Quest'anno i miei genitori vogliono provare qualcosa di diverso e hanno già prenotato tutto per il Canada, quindi ho il via libera per fare festa tutte le sere con i miei amici in montagna» sorrise Flo.

«Potresti intravedere me e Maddie con delle buste per la spesa, in caso facessi un giro in centro. L'anno scorso l'ho portata con me e si è innamorata dello chalet. Stiamo ancora lavorando sulla questione sci: è difficile cominciare col piede giusto, se nessuno ti ha mai insegnato da bambino» raccontai.

Jason fermò il cameriere per chiedere del wasabi extra, quindi riportò l'attenzione su di noi.

Non riuscivo a capacitarmi di come potesse soffocare il gusto delicato del pesce e del riso nella piccantezza infernale di quella piccola salsina verde. Per me, la salsa agrodolce e quella di soia battevano tutto.

«Certo...» fece Flo, comprensiva. «Ma se ti trovo in pista ti seppellisco nella neve, sappilo».

Lo presi come un attacco personale, quindi risi e le rubai un uramaki dal piatto.

«Ehi! Quello era il mio preferito!» si ribellò lei, tirandomi un pugnetto e giocando al mio stesso gioco, sottraendomi un involtino primavera.

«Sei una persona molto scorretta, sai? La regola era "occhio per occhio, dente per dente", non "occhio per dente"».

Jason mi diede un cinque per la trovata geniale.

«Affatto, sono stata impeccabile invece: il mio occhio era l'uramaki con la tempura di gambero e l'avocado, il tuo occhio era l'involtino primavera. Hai preso il mio preferito e io ho fatto altrettanto... Più equa di così!» si difese lei.

Odiavo lasciarle l'ultima parola e dargliela vinta, ma la mia amica sapeva tirarsi fuori con maestria dagli impicci. Quasi abile quanto nell'infilarcisi in mezzo.

Scossi il capo, divertito, e le rubai un altro uramaki, l'ultimo rimastole, per dispetto: lei mi tolse la salsa di soia per castigarmi. Assottigliai lo sguardo, infastidito ma per scherzo, quindi lo mangiai ugualmente. Non mi avrebbe piegato ai suoi giochetti, nossignore. Io ero Peter Goodwin e nessuno poteva fare di me ciò che gli pareva.

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Questo capitolo è abbastanza di passaggio, ma occhio ad alcune insinuazioni 👀

Baci ✨

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