Capitolo 21 • Stanca

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In metallurgia, un fenomeno di frattura è descrivibile come fragile oppure duttile: nel primo caso, l'oggetto appare come sezionato perfettamente in due nuove facce, similmente ad un taglio pulito; nel secondo caso, il punto di rottura viene consumato e snellito a lungo prima di spezzarsi inevitabilmente, schiacciato dal peso dell'una o dell'altra parte dell'oggetto che, in principio, era il medesimo.

C'erano persone che stavano insieme anche dopo aver superato il punto fisico di rottura e si fissavano da faccia a faccia, senza alcuna connessione materiale rimasta ma solo un ammasso di ricordi astratti che ingombravano tanto spazio. I miei genitori ne erano un esempio: qualsiasi cosa li avesse legati a loro tempo, niente ormai li teneva più uniti.

C'erano anche persone che, pur di scongiurare quel dannato assottigliamento che avrebbe inevitabilmente portato alla rottura, fingevano di non sentire alcuna forza corrosiva pressare loro addosso, non rendendosi conto che il deterioramento avrebbe avuto luogo in ogni caso. Probabilmente, io e Maddie facevamo testo proprio per quel secondo caso: solo, non sapevo quando saremmo stati pronti ad accettarlo.

Eppure, io credevo nel nostro amore. Ci avevo sempre creduto, con tutto me stesso.

Fu lo sguardo con cui mi accolse quella sera, dopo che avevo fatto di tutto per rimettere a posto le cose, che mi fece perdere le speranze: stanco per le ore lavorative, certo, ma pur sempre privo di luce. Ebbi l'impressione che vedermi fosse addirittura un fastidio, un peso che doveva sopportare per non affrontare la seccatura di lasciarci.

D'altronde, aveva accennato lei stessa al fatto che le fosse passato per la testa.

«Oh... Sono per me?» commentò, prendendo il mazzo di rose che le stavo porgendo.

«Certo che sono per te. Era un po' che non ti portavo dei fiori e ho pensato ti potesse far piacere».

Ottenni un sorriso piuttosto contenuto in risposta.

«N-non ti piacciono?»

«Sì che mi piacciono... Ci mancherebbe. Anzi, sei stato... Molto dolce, a portarmeli».

Feci fatica a mantenere un contegno.

Mi fermai prima di entrare in casa con lei e sospirai.

«Mads... Che cosa ci sta succedendo?» sbottai.

Si voltò lentamente, con le lacrime agli occhi e le labbra socchiuse, il respiro improvvisamente affannato.

Appoggiò i fiori sul tavolino del salotto e tornò da me ormai incapace di trattenere il pianto.

«Non lo so. So solo che sto malissimo. Non ce la faccio più, Pete. È tutto così pesante... Ho troppe responsabilità, mi sembra di non respirare... E tu trovi anche il tempo di venire a trovarmi, di capire cosa non va, ma io lo sento... Ultimamente, non sono più la stessa e lo sai. Non so se riuscirò mai a tornare la ragazzina spensierata che hai conosciuto alle superiori. Non so se torneremo mai quelli di una volta».

Scossi il capo.

«Dov'è scritto che dobbiamo essere sempre gli stessi? Possiamo cambiare e crescere anche rimanendo uniti. Stai buttando via tutto di proposito?»

«Io? Io non me ne vado con altre persone da una festa a cui ti ho invitato in prima persona. Se c'è qualcuno che sta buttando via tutto di proposito, quello sei tu».

Alzai gli occhi al cielo.

«Sapevo che non me l'avresti mai perdonato».

Grosse lacrime continuarono a scendere sulle guance candide di Maddie.

«E, se lo sapevi, perché diamine l'hai fatto?! Ho vissuto nell'ombra di Chloe in eterno e, quando pensavo di aver finalmente seppellito ogni competizione con altre ragazze, arriva Barbie Magia delle Feste e tu ti fai abbindolare così...»

«Frena, frena, frena. Barbie chi? Tu sei la ragazza più bella del mondo, per me. Ora e sempre. Non me ne frega niente delle Barbie o di qualsiasi altra ragazza. Io ti amo».

Maddie pianse convulsamente.

«Io non ci riesco, non lo so che cosa provo. E sto diventando pazza, te lo giuro. Mi sto consumando perché non ci so stare nella confusione che ho dentro, ma ho le mani legate, non ci capisco niente. È tutto aggrovigliato e io... Io mi sento soffocare».

Il volto mi si contorse in una smorfia di dolore e mi portai una mano al petto come un riflesso incondizionato. Fissai la ragazza che amavo con tutto lo spettro delle mie emozioni alla luce del lampione e speravo che, nonostante il buio circostante, le arrivasse almeno l'intensità di ciò che stavo provando.

«Sono senza parole. Mi fa così male che non ho la più pallida idea di cosa dire». Rantolai.

Maddie si asciugò le lacrime e si avvicinò per accarezzarmi il volto.

«Abbracciami» sussurrò.

La strinsi più forte che potei: ormai fragile, magra, più simile ad un'ombra della ragazza che avevo conosciuto e di cui mi ero innamorato subito. Affondai il viso nei suoi capelli ramati, ne odorai il dolce profumo di pesca e chiusi gli occhi. Com'era possibile che l'avessi persa? Era sempre stata lì, accanto a me, che appoggiava la testa caotica sulla mia spalla fatta apposta per lei, che preparava muffin e pancakes al mattino dopo che avevamo dormito insieme, che mi travolgeva con allegria e impulsività, che ora sorrideva ora piangeva, ma sempre piena di vita.

In quel momento, invece, mi colpì il grigiore che la avvolgeva come una pellicola impermeabile alle emozioni, lei che ne era sempre stata la paladina emulatrice. A ben guardare, c'era dell'ironia. Non riuscii, tuttavia, a ridere. L'unica cosa che riuscivo a fare era sperare che non mi lasciasse.

«Credo sia meglio...»

«Shh, non dirlo» la zittii, sibilando.

Le mie braccia non volevano abbandonarla. Niente di me voleva salutarla. Le avevo fatto tanto spazio dentro di me e non ero pronto a sopportare il vuoto che avrebbe lasciato.

«Sai che non c'è altra strada. Sto male io e stai male tu: non ha senso» insistette Maddie, a voce bassa.

Sciolsi l'abbraccio e le presi il viso tra le mani, guardai direttamente i suoi occhioni castani che tendevano all'ingiù, seguii con i pollici le linee curve tracciate dagli zigomi appena sotto le occhiaie, mi soffermai sulle labbra. Le baciai, assaporandole come se non l'avessi mai fatto prima di allora, con lenta metodicità.

Come poteva chiedermi di staccarmi? Di fingere che la mia pelle non richiamasse la sua e non ne bramasse ogni singolo centimetro?

«Decidiamo noi quale senso dare alle cose. Io sono convinto che ce ne possano essere altri mille che non implicano lasciarsi, ma...»

«Ne riparliamo domani, okay?» mi interruppe lei, stanca.

Seppur distrutto dentro, annuii.

«Posso dormire ugualmente con te?» domandai piano.

Lei accennò un sorriso malinconico e si fece da parte per consentirmi di entrare in casa, quindi chiuse la porta e mi guidò, una volta ancora, verso la sua stanza.

Osservai con tristezza la sua figura asciutta cambiarsi e infilarsi un pigiama comodo, con le pecorelle. Quella notte, le mie braccia la imprigionarono senza mai lasciarla andare, come a voler ingabbiare il tempo più che il corpo. Il tempo, però, era padrone di se stesso e il nostro ormai era scaduto.

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Scusate, mi si è spezzato il cuore a scriverlo, figuriamoci voi a leggerlo.

Ne vedremo ancora parecchie.

Alla prossima!

Baci ✨

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