Capitolo 30 • Ansia

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Era difficile non sentirsi mai veramente abbastanza in un mondo in cui bisognava per forza avere, come punto di partenza, una sicurezza ferrea in se stessi. Senza, come si trovava il coraggio di approcciare una ragazza?

Una ragazza attraente, che sembrava altrettanto sicura di sé, con la testa sulle spalle, modi educati e femminili, una posa elegante, buon gusto estetico e persino dotata di un senso dell'umorismo che andava a braccetto col proprio. Come si rimaneva solidi e impassibili di fronte ad un pacchetto del genere, ostentando l'arroganza di credersi al di sopra di tutto ciò così che lei non si credesse tre metri sopra il cielo? Come si nascondeva la consapevolezza che lei aveva il diritto di stare su un piedistallo? Come si combatteva la necessità di prostrarsi mentalmente ai suoi piedi? Le ragazze erano creature meravigliose, ricche di colori, sfumature, dettagli splendidi, forme sensuali, bellezza intrinseca, luminosità e gioia di vivere... A volte, ci si sentiva fortunati a viverci in mezzo.

In parte, la mia visione fatata derivava dall'austerità di mia madre, che mi aveva insegnato a rispettarla e a crederla una divinità che, quando poteva, si scomodava a preoccuparsi di me e del fatto che esistevo. In parte, derivava dalla cieca obbedienza con cui mio padre si plasmava su ogni suo comportamento, ogni suo desiderio, ogni sua follia... Pareva quasi un incantesimo. In parte, ancora, affondava le sue origini nei testi poetici che avevo sempre trovato affascinante leggere per conto mio, prima ancora di averli studiati a scuola. Mi piaceva soffermarmi sulle descrizioni che poeti e scrittori dallo stile elegante mettevano per iscritto, traslando dalla propria mente alla mia le immagini che le parole scelte ambivano a ricreare. Avevo tentato io stesso di buttare giù qualcosa, ma ero sempre stato fermato dal blocco dello scrittore.

Ciò che accentuava, ad ogni modo, l'idea mitizzata che avevo delle ragazze era anche l'aria di superiorità che assumevano quando esigevano che venisse loro letta la mente: spesso, non sapevo neanche io cosa avesse causato loro irritazione, di conseguenza non potevo minimamente immaginare cosa avrebbe posto rimedio al problema.

«Sì e lo sai benissimo, Pete» tuonò Flo, la sera, in risposta ad un mio stupidissimo "sei ancora arrabbiata?"

Munito di pizze e dolciumi, avevo bussato alla porta della sua stanza e avevo cercato di curvare le mie labbra in una smorfia tenera abbastanza da conquistare il suo perdono perché... Be', quella volta sapevo esattamente qual era il problema.

«Accetta il mio tentativo di corruzione, però. Ho corso per tutto il campus pur di non dare alle pizze il tempo di raffreddarsi» insistetti.

Flo aveva i suoi punti deboli. Uno era il sesso. L'altro era il cibo italiano. E io ero andato nella pizzeria di origine italiana più buona delle vicinanze pur di attenuare il fastidio che era ancora evidente sul suo viso.

«Questo non significa che tu sia perdonato» sottolineò, facendomi spazio per passare ed accomodarmi.

Sorrisi.

«Tu mangia... Al perdono penseremo dopo» le feci l'occhiolino.

Ero talmente abituato a fingere di aver già risolto il problema o ad essere sicuro di aver messo tutto a posto che, ormai, di rado mi chiedevo da dove venisse quella sicurezza che ostentavo imponendo le mie soluzioni. La società mi aveva insegnato che l'unico modo era prendere in mano la situazione ed evitare a tutti i costi che sembrasse che non avessi il controllo e così facevo, in automatico, come un distributore di merendine.

Nessuno si fermava a indagare sul fatto che mi sentissi davvero così autoritario oppure se fosse solo una farsa per nascondere il bambino insicuro che non avrebbe mai saputo dire se la madre l'aveva mai amato, mettendolo al mondo. Nessuno dava una possibilità all'idea che anche io avessi dei sentimenti, nonostante cominciassi a tremare al solo pensiero di averne dimostrati. Nessuno, vedendomi piangere in silenzio la notte, quando mi sentivo perso e solo, avrebbe mai creduto che ero proprio io, quello che sapeva sempre ciò che stava facendo e che non dubitava mai delle proprie capacità.

Avevo tante qualità, ne ero consapevole. Purtroppo, però, essere al corrente di qualcosa aveva distanza variabile dal potere applicativo di quello stesso concetto. Quando andavo nel panico e mi prendevano gli attacchi d'ansia, per esempio, tutto ciò che sapevo su me stesso si cancellava e la mia autostima si riduceva ad una tabula rasa: dubitavo di ogni minima cosa, dubitavo di essere degno di ricevere qualcosa di buono e arrivavo a pensare che, se qualcosa mi aveva causato uno stato profondo di irrequietudine come l'ansia, un motivo c'era e doveva anche essere ben solido.

Dopo che Flo era uscita rabbiosamente dalla mensa a pranzo, infatti, mi ero appellato a ciò che di più saldo la mia mente reputava, ossia l'amore di Maddie. Avevo pensato a lei per un bel po', prima di decidermi a chiedere a Chloe notizie. Al momento, a detta sua, era ancora in corso l'investigazione professionale di Elizabeth. Dovevo fidarmi? Le avrei dato tempo fino a Natale, avevo deciso: se non fossero giunte novità degne di nota, avrei trovato un modo io stesso per assicurarmi che Maddie non avesse bisogno di me.

Mi ero quindi arrovellato per un altro bel pezzo al pensiero che Flo mi avrebbe tenuto il muso in eterno e avrebbe detto a tutti quanti che ci frequentavamo in segreto, distruggendo l'unica amicizia maschile che ero riuscito ad instaurare all'università. Avevo brutalmente messo a tacere la vocina che mi avvertiva che non sarebbe comunque durata, se era appesa al filo dell'umore di Flo, perché le bugie avevano le gambe corte. Dopo un paio d'ore di studio mal fatto, ero dunque uscito per mettere insieme la mia opera di corruzione per la serata.

«Confesso che lasciarmi scegliere il film è stata un'altra mossa molto astuta, ma non so se esista un metodo di corruzione che ti possa salvare. Prima o poi dovremo dire la verità e, più aspettiamo, peggio sarà. Anche perché a mentire fai pena» commentò Flo, pulendosi un lato della bocca dal pomodoro della pizza.

Annuii, incassando il colpo, quindi spostai il portatile di lato e accarezzai le gambe di Flo con fare decisamente malizioso, sguardo dannato in abbinamento deciso.

«Meno male che faccio pena solo in quello» allusi.

Al mio avvicinamento rapido alla sua intimità corrispose un'espressione beata che non poteva che significare che avevo ragione, ma trovai comunque giusto supportare le parole con l'azione. A giudicare dai gemiti che cominciò ad emettere di lì a poco, dedussi gloriosamente di avere ragione, eccome.

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Punti di forza e di debolezza di Peter: quanto, secondo voi, ha inciso la sua storia familiare e quanto, invece, la società coi suoi dettami?

A voi i commenti!

Baci ✨

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