Capitolo 11 • Inaspettato

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«Al momento, siamo al completo. Grazie per la sua candidatura».

La voce monotona che mi rispondeva dall'altro capo della linea telefonica era speranzosa che io interrompessi la comunicazione.

«Mi chiami se dovesse liberarsi un posto, okay? Seriamente, non tanto per dire» insistetti invece.

«Sì» sbuffò lei. «Se si libera un posto la chiameremo, signor Goodwin».

Soddisfatto, salutai e la linea cadde prima che potessi allontanare il cellulare dall'orecchio.

Dalla biblioteca uscì Jason e mi raggiunse nell'angolo dell'atrio da dove stavo telefonando. A giudicare dall'espressione allegra, stava portando buone notizie.

«Ehi, Pete. Ho convinto Flo a travestirci da Joker e Harley Quinn ad Halloween! Immagina il figurone che faremo!»

Infilai il cellulare in tasca ed assunsi un'aria accigliata.

«Ma non è tipo il travestimento più banale e scontato che esista? Voglio dire, lo scelgono tutti. Letteralmente, tutti: anche chi non ha un partner concordato, lo trova sicuramente in pista. C'è talmente tanta gente travestita così che c'è pure l'imbarazzo della scelta, soprattutto nei Joker» commentai, aspro.

«È già tanto aver convinto Flo a fare coppia con me: secondo te posso concedermi il lusso di essere originale?»

Sospirai.

«Io non capisco perché ti ostini a metterla su un piedistallo. Tu puoi e devi pretendere il meglio per te stesso: per me significa anche essere originali, forse per te no, e va bene così. Non parlarmi, però, di lusso, perché in fin dei conti rimane una comunissima ragazza, che ha polmoni come noi, orecchie come noi, dita delle mani e dei piedi e non fottute branchie da sirena o dei superpoteri magici da fata delle fiabe».

Jason incassò il colpo in silenzio.

«Smettila di trattarla come una divinità e lei comincerà ad ascoltarti veramente quando le parli, fidati di me» istruii.

«Perché, non mi ascolta?»

Gli diedi una pacca sulla spalla.

«Chi ha scelto il travestimento da Joker e Harley Quinn?» domandai.

«Lei».

Annuii.

«E chi l'ha proposto?»

«Io».

«Quante volte?»

«Un paio...»

«La verità, Jason».

«Tre».

Sbirciai l'ora sullo schermo del cellulare, quindi lo rimisi in tasca.

«Sono stato qui fuori venticinque minuti a fare telefonate. Sicuro che gliel'hai buttata lì, molto casualmente e senza troppo impegno, come tutti gli inviti che le fai, soltanto tre volte?»

Jason sbuffò, teso.

«Okay, penso che siano state qualcosa come cinque volte. Magari ha problemi di udito. Devo starle vicino».

«Amico, l'unico problema che ha è la tua insistenza. Invece di ripetere le cose, dille con più convinzione e assicurati che ti ascolti. Alle ragazze piace essere adulate, ma fanno più colpo la decisione e la fermezza di carattere».

Rientrammo in biblioteca, scoprendo che al nostro tavolo si erano aggiunte Callie ed Erin. Non mi sfuggì l'occhiata attenta che quest'ultima mi rivolse, forse in relazione alla breve conversazione che avevamo avuto in corridoio l'altro giorno.

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