«E se il ragazzo giusto per me fosse cieco?»
Qualcosa mi diceva che avrei potuto abbracciare Flo, dal momento che era in lacrime a causa di ciò che le avevo detto, eppure ero frenato, quindi mi sorprese che si riprendesse abbastanza da controbattere sul momento.
Non avrei saputo descrivere il suo livello di fragilità. Tremante nella postura scossa, mi guardava fermamente con gli occhi lattiginosi di un azzurro limpido, reso trasparente da un temporaneo fascio di luce che l'attraversò.
«Non sta a te fargli riacquistare la vista» sussurrai.
Flo serrò i denti, ferita.
«Io non capisco perché fai lo stronzo con me, ma sono stanca di cercare di capirlo. Vado a prendere un taxi».
Si voltò senza darmi il tempo di dirle che l'avrei accompagnata, perciò la seguii nella stanza dove avevamo posato i cappotti.
«Vengo con te».
«Non è necessario» scrollò le spalle.
Sospirai, avvertendo una certa pesantezza nel petto.
«Che tu ci creda oppure no, io ti voglio bene, Flo. Non lascerò che tu te ne vada da sola nel bel mezzo della notte».
Sbuffò un sorriso cattivo.
«Non voglio la compagnia di uno stronzo».
«Me ne vado ugualmente, tanto vale che ti accompagni. Sai che non mi piacciono le feste» feci spallucce.
«Che cosa non capisci del fatto che mi sento a disagio?»
Lanciai un'occhiata verso Jason, che era troppo ubriaco persino per reggersi in piedi, figuriamoci per assicurarsi che Flo tornasse sana e salva al campus.
«Se non vuoi, non ti parlerò neanche. Voglio solo assicurarmi che non ti succeda nulla durante il viaggio. Non mi fido di nessun altro, qui» rimarcai, serio.
Lei mi rivolse un'occhiata sofferente, di quelle che avrebbero voluto urlare "parlami, ma parlami d'amore invece di piazzarmi un muro davanti" alla quale cominciai a faticare ad opporre resistenza.
Ero davvero così immune al fascino di Flo come mi professavo? Indifferente dinanzi al suo essere fondamentalmente fragile, sotto quella patina luminosa di sottile sicurezza in se stessa? Tornò ad avere gli occhi lucidi e, anche se non avevo idea di quale fosse il motivo, vidi la mia mano accarezzarle il volto prima che potessi realizzare di averlo fatto e il mio pollice le asciugò la prima lacrima in discesa.
Lei scostò la mia mano con delicatezza, ma mi permise di accompagnarla e la reputai una grande vittoria.
Non ero un mostro... Semplicemente, aveva toccato un tasto dolente per me e non ero stato propenso a perdonarla così in fretta, cedendo a frivole moine.
Tuttavia, mi fece tenerezza il modo in cui si strinse nel cappotto, aspettando il taxi, ben decisa a non volerlo dare a vedere, ostinata a fissare la strada buia senza mai incrociare il mio sguardo con un'aura insolitamente timida addosso. Mi parve infinitamente piccola, in quel momento.
E da quel momento in poi, non feci altro che contraddirmi.
Mi avvicinai a lei, la schermai dal freddo con le spalle più larghe delle sue e le accarezzai i capelli, forse per rassicurarla che mi sarei preso cura di lei nonostante le mie parole avessero detto tutto il contrario.
Si ritrasse.
«Non ho bisogno della tua compassione» mormorò, gelida.
Scossi il capo.
«Vieni qui. Mi dispiace di essere stato così duro nei tuoi confronti» mi scusai.
Flo alzò gli occhi con stupore.
«Forse non sono poi così immune al tuo fascino...» confessai, a voce talmente bassa che arrivai a dubitare che mi avesse sentito.
«Che cosa stai dicendo? Perché sei così... Enigmatico? Mi sento sempre una tale stupida...»
Le accarezzai il viso, continuando ad essere totalmente incoerente con l'atteggiamento che avevo mantenuto per tutta la serata.
«Io ti faccio sentire così?» domandai, delicato.
Mi tornò in mente Maddie, che mi aveva rimproverato un'infinità di volte per la supponenza che emanavo, l'aria di superiorità che pareva avessi, responsabile del disagio altrui. Il cuore mancò un battito al rievocare la sua voce nella mia testa.
«Non me lo chiedere con questa voce... Poi mi illudo che tutto quello che mi hai detto prima non abbia importanza e... E ricomincio a vivere di castelli mentali» fece Flo, la voce incrinata.
In lontananza, intravidi due fari fendere debolmente la nebbia.
«A me piacciono i castelli mentali» soffiai sulle sue labbra.
Quello fu il primo bacio che sentii di volerle dare perché desideravo farle del bene, per la semplice voglia di farlo, invece che spinto da sbalzi ormonali repentini.
Ricambiò con intensità lenta, come se avesse voluto chiedermi di restare, come se avesse voluto pregarmi di non farle del male. E la strinsi a me, attrassi il suo corpo infreddolito contro il mio, sperando di cacciar fuori un po' di calore e rimediare, almeno un briciolo, al gelo che le avevo instillato dentro. Perché anche se non sapevo come risolvere la situazione, sapevo che era colpa mia.
Il taxi accostò proprio davanti a noi e io aprii la portiera a Flo, per poi sprofondare in uno strano silenzio. Non c'era tensione nell'aria, né elettricità che potesse far pensare ad un'intesa sessuale e nemmeno noia: era come se non vedessimo l'ora di scendere dalla vettura e rintanarci in camera, ma per stare in piedi fino all'alba a parlare di idiozie invece che a fare sesso.
Quella bizzarra ilarità sfociò in un'idea poco intelligente: andare nelle cucine della mensa e preparare un pasto notturno che ci scaldasse prima di andare a dormire.
Risi al pensiero che Sid pensava di condividere la stanza con un ragazzo normale e tranquillo. Scoprii di esserlo ben poco.
«Guarda un po' cosa ho trovato!» esultò Flo, rovistando tra le ante.
«Poi mi devi spiegare come fai ad avere le chiavi di tutta Harvard. Comunque, cos'hai trovato?»
Flo ridacchiò, rigirandosi fra le mani una bottiglietta di plastica contenente del liquido viscoso simile al colore del caramello.
«Sciroppo d'acero. Perfetto per fare degli ottimi pancakes!»
Il piglio infantile con cui stava affrontando la situazione mi faceva ridere. Mi faceva sentire leggero, come se avessi davvero potuto soltanto respirare senza dover risolvere qualche problema o fare ammenda per mie colpe passate.
Dubitavo che si fosse dimenticata della durezza delle mie parole, del modo in cui l'avevo guardata piangere senza sollevare un dito per accarezzarla, per poi comportarmi in maniera completamente opposta e ritrovarmi lì, in quel momento, a cercare affannosamente del cioccolato soltanto perché lei aveva voglia di cuocere i pancakes facendoci piovere sopra gocce di cioccolato. Non avevo nemmeno idea del motivo per cui lo trovasse così divertente, ma il suo sorriso mi stava trascinando e avrei riscontrato difficoltà a negarle qualsiasi cosa, in quel momento.
La sostituii dolcemente nella preparazione dell'impasto per metterci la dovuta forza a mescolare con la frusta, dal momento che lei non faceva altro che ridere, e cossi i pancakes particolarmente intenerito. Lei affogò tutto quanto nello sciroppo d'acero e andava bene così, con me che trovai più gusto a guardarla abbuffarsi che non a mangiare quei pancakes caserecci privi della giusta quantità di zucchero. Flo non se n'era neanche accorta, con tutto quello sciroppo nel piatto, e ad ogni boccone mi faceva ridere un po' di più.
«Ragazzi, che cosa ci fate nelle cucine alle quattro del mattino?»
Come predetto, era stata un'idea poco intelligente.
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Enigmatic
Teen FictionNessuna giacca di pelle, nessuna moto, nessuna sigaretta. Peter era il bravo ragazzo per eccellenza, con una facciata di marmo davanti e il fascino dipinto negli occhi. Pronto a frantumare qualsivoglia speranza di mantenere intatto il tuo cuore. E l...