Capitolo 1

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Il funerale era stato solo l'apice di un periodo oscuro durato anni. Fu così avvilente vedere come le persone amate in vita da sua madre l'avessero abbandonata e dimenticata, dopo che le fu diagnosticata la malattia. Convivere con una persona affetta da schizofrenia non era facile, Hylde ne era perfettamente consapevole dall'adolescenza, ma lavarsene del tutto le mani, come fece suo padre, era per lei un gesto inconcepibile. All'età di sedici anni, lo vide decidere di affidare la madre alle cure di un istituto e iniziare ufficialmente una relazione con la donna con cui aveva iniziato a frequentarsi.

Per Hylde, questo significò farsi carico da sola del peggioramento della malattia di sua mamma: quella che prima era una donna fiera, legatissima alle tradizioni della propria terra d'origine, la Norvegia, la donna che le raccontava la mitologia norrena come favola della buonanotte, era diventata il fantasma di se stessa, una povera anima convinta di sentire la voce di Thor, o Freyja. Ovviamente la tradizione norrena è distribuita per gran parte dell'Europa Settentrionale, i vichinghi provenivano anche dalla Danimarca (dove Hylde era nata e cresciuta), ma sua madre conservò un attaccamento speciale alla sua patria, in particolare con Kattegat, la sua città natale.

Tutto questo fino a quando si spense, in totale solitudine, nella piccola stanza riservatale dall'istituto. Hylde ne fu distrutta talmente tanto da chiudersi in se stessa, senza sentire più nulla, senza riuscire a respirare, l'unica cosa su cui si concentrava erano lavoro e studio. Poi, di punto in bianco, evitando di avvisare qualcuno, decise di prendersi una pausa dal mondo: congelò l'appena iniziata carriera universitaria in infermieristica, si licenziò dal suo lavoro part-time e prelevò una piccola somma di denaro lasciatole in eredità dalla madre. Partì per la Norvegia pochi mesi dopo il funerale, in un viaggio commemorativo totalmente dedicato alla sua mamma.

L'aria frizzante di inizio inverno risvegliò Hylde dal fiume di ricordi in cui stava annegando. Alzò lo sguardo verso la primissima tappa del suo percorso: la baia di Kattegat, che si rivelò essere una piccola, ma popolosa città nascosta tra i fiordi norvegesi. Ogni volta che la nominava nei suoi racconti, sua madre si riempiva d'orgoglio e la sua faccia si faceva sognante e cristallina: diceva che, in antichità, vi fossero vissuti il mitico Ragnar Lothbrok coi suoi numerosi figli, altrettanto famosi, e la grande guerriera Lagertha. Peccato che ogni prova della loro esistenza era andata perduta con l'avanzare dei secoli, di loro erano rimaste solo antiche leggende.

Vide un piccolo stormo di gabbiani sorvolare pigro la costa, quasi come a godersi le ultime ore di luce prima del crepuscolo. Controllò l'ora sul cellulare e si decise ad abbandonare la panchina sulla quale aveva passato delle ore intere quel pomeriggio, anche perché il lungo cappotto di pelle sintetica che indossava iniziava a diventare superfluo contro il calo della temperatura, malgrado la leggera imbottitura felpata. Il cielo preannunciava neve.

Era un bel posto, quello: una panchina in legno piazzata su un suggestivo promontorio, in modo tale che chiunque potesse godere del panorama in tutta tranquillità.

Per tornare in città, Hylde avrebbe dovuto seguire un sentiero di terra battuta attraverso i boschi che circondavano il centro abitato. Ormai la strada era deserta, iniziava a far freddo sul serio ed i cittadini avevano già fatto ritorno presso la propria casa.

Arrivò al bivio che aveva incontrato all'andata: la strada a destra presentava una ripida discesa che portava direttamente a Kattegat, che iniziava a riempirsi della luce all'interno delle abitazioni, mentre la strada di sinistra continuava in salita ancora per qualche metro per poi appianarsi presso una piazzola dominata da una grossa statua in bronzo.

Hylde si grattò la punta del naso dopo essersi sistemata dietro l'orecchio una ciocca ribelle color rosso vivo, aveva le mani congelate, ma pensò di avere del tempo per dare un'occhiata a quella curiosa scultura. Prese la via di sinistra senza aspettare oltre, in pochi minuti arrivò alla piccola piazza deserta ed osservò quella che era sicuramente una statua celebrativa raffigurante il dio Odino, intuibile dal suo occhio bendato. Si dice l'avesse sacrificato presso il mitologico pozzo di Mimir per raggiungere la sua celebre saggezza.

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