Capitolo 8

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La serenità non durò a lungo. Tornarono seri, dopo qualche altro scambio di battute e piccole prese in giro, così Hylde radunò il suo coraggio e chiese a bruciapelo: «Cosa ti ha fatto tanto arrabbiare?». Voleva così tanto aiutarlo ad alleviare quella rabbia, voleva disperatamente che si aprisse con lei, che non facesse finta di essere tranquillo quando in realtà era tutt'altro.

Ivar deglutì rumorosamente, prendendosi del tempo per pensare alle parole da utilizzare: «Voglio il comando dell'esercito, Hylde. Ora che posso combattere, ora che so di potercela fare.». Aveva uno sguardo così profondo, così sicuro di sé, al limite dell'arroganza. Gli occhi di solito chiari e splendenti si erano fatti di un intenso blu scuro, rischiarati dalla luce del fuoco che si rifletteva in essi.

Parecchio confusa da quell'affermazione, la ragazza disse: «Pensavo che il comando lo avesse Bjorn. Il fratello più anziano e con più esperienza è lui, è normale che abbia la carica più importante, no?». Parlò con tono calmo e onesto, così come aveva sempre fatto.

Lui rispose: «Hylde, tu non capisci. Mio padre voleva che io fossi il suo diretto successore. Mi ha portato con lui nel Wessex, mi ha fatto studiare i territori, gli edifici, le usanze... Mi ha svelato tutti i segreti per sfruttarli a mio vantaggio.». Aveva iniziato a parlare con voce febbrile ed impaziente, con lo sguardo pericoloso, con brama di potere.

«Io temo che questo non sia l'atteggiamento più giusto per farti ascoltare dai tuoi fratelli. E comunque, non credo che tuo padre volesse che solo uno dei suoi figli prevalesse a discapito degli altri.». Hylde continuò a parlare serenamente in quello che le sembrava un semplice ed aperto scambio di idee, allarmata però dallo sguardo di Ivar, intriso di perfida bramosia. Non aveva mai conosciuto Ragnar, ma era sicura di avere un'opinione solida, nonostante il ragazzo non fosse affatto d'accordo, a giudicare da come scuoteva la testa, in aperto dissenso.

Oramai la ragazza aveva imparato a conoscerlo, passando così tanto tempo insieme a lui sul campo di battaglia aveva imparato a riconoscerne i gesti e le espressioni, e vedeva nitidamente anche i suoi lati più controversi. Adocchiò tutta la rabbia che egli stesse covando, pronta ad esplodere con le parole: «Lo sapevo! Sei come i miei fratelli, tutti credete che io non possa farcela!». Era un fiume in piena, pronto a rompere gli argini.

La sua furia si abbatté su di lei, designata come il bersaglio della sua frustrazione. Hylde non lo aveva mai visto così arrabbiato, soprattutto nei suoi confronti. Capiva perfettamente che il problema non erano le sue parole, benché Ivar avesse deciso che quella sera sarebbe stata lei il capro espiatorio di un disagio portato sulle spalle da troppo tempo.

Hylde si alzò istintivamente dalla sedia e si allontanò, non sentendosi più al sicuro accanto a lui. Gli occhi iniziarono a riempirsi di lacrime, in quasi vent'anni di vita non aveva ancora imparato a discutere senza che il nervoso si trasformasse in pianto.

Tentò di calmarlo, ma fu interrotta da Ivar, imbottito di odio e risentimento: «Per voi sarò sempre il fratellino storpio. Quello che viene deriso e trattato diversamente!». Prese un piccolo pugnale nascosto nello stivale e lo lanciò con tutta la sua forza verso la parete che stava proprio alle spalle di un'immobile Hylde, conficcandolo perfettamente nel legno.

Ivar fece una pausa per riprender fiato, lo scatto d'ira gli aveva fatto accelerare il respiro. Dopodiché alzò lo sguardo verso la ragazza, ma sembrò non vederla davvero, come se fosse stato annebbiato, e volle ferirla con la frase: «Soprattutto tu, Hylde, mi tratti come se fossi uno stupido idiota.». Così freddo, gelido quanto la neve perenne delle alte montagne che circondavano l'immensa radura nella quale sorgeva Kattegat.

Gli occhi della giovane erano lucidi, trasudavano una delusione che l'annichiliva come un malessere fisico. Tremò di rabbia di fronte a un trattamento che sentiva di non meritarsi. Ivar l'aveva portata al limite dell'umana sopportazione, obbligandola a metter da parte ogni briciolo di comprensione rimastole nei suoi confronti: «Se non fossi così occupato a covare tutto questo odio verso il mondo e verso te stesso, capiresti che la realtà è ben diversa da quella che descrivi tu, Ivar!». Nonostante le copiose lacrime, Hylde scandì il nome del ragazzo con una furia tale da zittirlo all'istante ed obbligarlo a prestarle attenzione.

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