Capitolo 18

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Il cielo grigio si era riempito di enormi nuvole, che in lontananza s'incupivano sempre di più, assumendo una sfumatura scura e minacciando, nel migliore dei casi, un potente scroscio di pioggia, nel peggiore, invece, una violenta tempesta. Nessun raggio di sole riusciva a penetrare quello spesso strato di cumulonembi e il vento cambiava continuamente direzione, sferzando con foga sui volti dei guerrieri, animati dall'adrenalina.

Due eserciti schierati faccia a faccia riempivano i lati opposti di quella radura così spoglia. Si osservavano e si studiavano in assoluto silenzio, in attesa di un comando, o un cenno, da parte dei rispettivi comandanti.

I soldati sassoni, perlopiù appartenenti alla fanteria, erano distribuiti in lunghezza con rigido rigore e ben ordinati. I loro corpi, protetti dagli usberghi in anelli di ferro e da elmi conici in metallo, erano quasi tutti cristallizzati nelle medesime posizioni. I più abbienti di loro facevano parte della cavalleria e si ergevano sui meravigliosi destrieri con una certa alterigia, come se si sentissero moralmente superiori non solo ai vichinghi, ma anche ai loro compagni di fanteria.

Re Aelle, circondato dai suoi migliori consiglieri, osservava tutta la scena da un'insenatura della collina, posta ad un'altitudine leggermente più elevata rispetto al resto dell'esercito. Il peso degli anni, che si riversava sul suo volto sotto forma di grosse rughe attorno agli occhi ed alla bocca, era nascosto dalla folta barba e dai numerosi capelli neri tendenti al brizzolato. La pesante corona con pietre preziose incastonate, l'armatura finemente ricamata con fili d'oro ed il grosso mantello purpureo, posizionato con dovizia sulle spalle, uniti allo stallone di ottima qualità che egli cavalcava, agghindato con briglie di tessuto pregiato, rendevano evidente il suo non prender parte direttamente alla battaglia. Avrebbe urlato gli ordini da quella posizione soprelevata, di vantaggio, senza correre rischi, lontano da ogni pericolo.

Dall'altra parte, i fratelli Lothbrok dominavano la prima fila, sullo stesso piano dei loro compagni di battaglia, il loro popolo. Gli sguardi fissi in avanti, verso il loro nemico mortale, quasi senza sbattere le palpebre, i loro visi erano sopraffatti dalla crudeltà con cui avrebbero combattuto e trucidato ogni sassone che avesse avuto il nefasto destino di capitare sul loro cammino. Avevano una sicurezza, una determinazione talmente forte da donar loro un'aura diversa, quasi eterea.

Il loro esercito, distribuito anch'esso in lunghezza, sembrava meno incline a mantenere un assetto ordinato, ogni guerriero, pur rimanendo al proprio posto, si muoveva senza sentirsi limitato da un'inflessibile disciplina. Nessun sassone poteva immaginare, dal loro atteggiamento libero, quanto in realtà i Norreni sapessero ascoltare ed eseguire in maniera celere gli ordini dei loro comandanti, quanto profondamente sentissero propria la causa per cui si ritrovavano a battersi, quel giorno, quanto rispetto provassero verso l'uomo che erano chiamati a vendicare. Ragnar Lothbrok, l'uomo più famoso della Scandinavia, viveva in loro, nei volti di quegli uomini e donne coraggiosi. Alcuni avevano deciso di dipingersi il viso con della tintura naturale, per rendersi più spaventosi agli occhi dei Sassoni, altri ringhiavano e si battevano i pugni sul petto, caricando il proprio stato d'animo, la loro voglia di combattere.

Uno stormo di corvi neri come la pece volteggiava sopra le loro teste, gracchiando a pieni polmoni come se li stessero incitando, a dimostrazione della vicinanza di Odino alla causa, quasi avesse voluto far sapere loro che li guardava e sosteneva con tutto il proprio essere.

Non appena Floki si accorse di quell'eclatante segno di supporto da parte degli dei, emise una risatina acuta, con gli occhi che brillavano di pura felicità. Gli era impossibile rimanere fermo, il suo spirito in rivolta lo portava a camminare avanti e indietro ad ampie falcate, così come gli permettevano le sue lunghe gambe, che gli donavano un'altezza slanciata, mentre, nel frattempo, sfidava i Sassoni con lo sguardo, senza distoglierlo. Si era anche fatto dipingere tutta la parte superiore della faccia e della testa calva da Hylde, cosicché parte dei tatuaggi venissero coperti dalla tintura nera, stesa in modo da far emergere, nelle parti in cui non era stata applicata, una grande runa, chiamata Tyr, la quale aveva una popolare funzione protettiva per i guerrieri in procinto di partecipare ad una battaglia. Era pronto come mai lo era stato, con la mano posata sulla testa della propria ascia, legata alla cintura.

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