Capitolo 9

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Il carico di lavoro si rivelò più intenso del previsto e i compiti quotidiani, svolti con solerzia ammirevole, la portarono presto ad essere conosciuta e ben voluta a Kattegat, aiutandola a sconfiggere una volta per tutte l'atteggiamento guardingo dei suoi concittadini, che tanto l'aveva fatta sentire a disagio. Finalmente veniva accettata da quella che era diventata a tutti gli effetti "la sua gente", il suo popolo.

Quegli avvenimenti del tutto positivi avevano donato a Hylde, oltre che una gioia immensa, anche una solida scusa per evitare il campo d'addestramento per i soliti allenamenti pomeridiani. Non era pronta ad affrontare la rabbia di Sigurd e tantomeno l'atteggiamento sfrontato di Ivar, sperava che la situazione si risolvesse magicamente da sola, continuando a procrastinare il momento della resa dei conti.

Di giorno le era facile non pensarci, ma poi arrivava il momento di scontrarsi con la tranquillità della notte, terreno fertile su cui far crescere e proliferare le proprie ansie e preoccupazioni, che la tormentavano tanto da non farla dormire pacificamente. La cosa si rifletteva sul suo viso, che appariva sempre stanco e provato.

Brandr, con cui divideva la stanza, si era ovviamente accorta del disagio provato da Hylde, perciò una mattina, senza alcun preavviso, decise di metterla alle strette e chiederle delle spiegazioni.

«Ferma!», le urlò Brandr prima che potesse sgattaiolare fuori dalla stanza proprio per evitare l'argomento, così come aveva fatto tutte le mattine precedenti.

«Vuoi spiegarmi, una volta per tutte, cos'è successo tra te ed Ivar di così grave da farti allontanare in questo modo?», le chiese mettendosi seduta sul letto, con le braccia conserte sul petto e con aria seria, che celava la sua preoccupazione.

Hylde si era immobilizzata davanti all'uscita della camera da letto, come quando si scopre un bambino intento a compiere la sua marachella, e, prima che potesse anche solo pensare ad una scusa vera e propria, Brandr l'ammonì: «Non osare propinarmi la solita frase, tipo "Sono troppo occupata!".». Il suo tono si fece assai minaccioso, quando aggiunse: «Ormai non ci casco più.».

In tutta sincerità, Hylde aveva già dimenticato e messo da parte, in un remoto cassetto della sua memoria, la parte drammatica della vicenda, pur essendo cosciente di aver bisogno di fare una seria chiacchierata con Ivar: dopotutto, quello scatto d'ira l'aveva spaventata. Le rimaneva un forte senso d'imbarazzo per aver mal gestito la situazione, sebbene non si sentisse la sola ed unica responsabile di come si fossero sviluppati gli eventi.

Si voltò verso Brandr, che le puntava gli occhi addosso in trepidante attesa di risposte. Con vergogna crescente e col viso sempre più purpureo, Hylde le raccontò tutto, iniziando dall'accesa discussione con Ivar. Quando arrivò alla parte del bacio tra lei e Sigurd, Brandr scoppiò a ridere.

«L'hai baciato? Sul serio?!», le chiese sgranando gli occhi e sforzandosi con tutta se stessa di non alzare troppo la voce, per non svegliare i genitori.

Hylde ci tenne a precisare che fosse stato Sigurd ad iniziare, ma confermò tutto il resto con onestà e puntualizzò anche: «Me ne sono subito pentita, però.».

«Ma tu preferisci Ivar, giusto?», domandò Brandr, cercando di far mente locale e di capirci qualcosa, poiché il suo cervello logico e preciso aveva bisogno di ordine.

«Ho fatto un disastro! Quei due si odiavano già senza il mio contributo.», piagnucolò Hylde col viso nascosto tra le mani per la vergogna, dopo aver dato all'amica una tacita risposta affermativa, annuendo con la testa. Era la prima volta che l'ammetteva lucidamente in presenza di qualcuno, e forse anche con se stessa. Il cuore prese a batterle forte.

Brandr esaurì le risate e corse in aiuto dell'amica in evidente difficoltà: «Stai tranquilla! Non devi nulla a nessuno dei due, quindi smettila di sentirti in colpa.». Aveva dei modi un po' bruschi, ma aveva ragione.

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