Capitolo 6 - Parte Prima

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Giorno 23 Marzo 2007

Credo quanto successo possa riassumersi in "Sapevo che tornare a scuola senza un piano d'attacco sarebbe stata una pessima idea, eppure l'ho fatto ugualmente". La giornata di ieri, incredibilmente, si è scoperta essere coccolata nel caldo del sole. È stato più facile, quindi, convincere me stessa a rimettere becco in classe, sospinta dalla brezza e dalle urla dei Cranberries.

Negli ultimi mesi le assenze si sono ammucchiate a dismisura, ed io con i miei amici mi faccio sentire sempre meno. Sono un disastro.

Ripenso con ribrezzo alle scene successive al mio rientro: Lisa incrociata in corridoio – perché, pensandoci, oltre a rimpatriare ho deciso di entrare in orario... non ci riesco proprio, a fare una stronzata alla volta - che mi ha quasi uccisa sotto una parapiglia di rimproveri, richieste di spiegazioni per il mio atteggiamento, eccetera, dai quali mi sono difesa inventandomi che il mio telefonino si sta rompendo e non funzionava bene. Per quel che riguardava il rispondere ai messaggi su Facebook o semplicemente alzare il Cordless e chiamare, non l'avevo fatto perché continuavo a dimenticarmene, secondo la mia versione. In quanto alle assenze, avevo semplicemente avuto un nuovo accenno di febbre. Fine.

Chiaro come luce, vero come la mia abilità di passeggiare a testa in giù sul soffitto.

Ed era soltanto l'inizio, ovviamente. Anche Teo ha avuto di che dire. Mi è bastato snocciolare le medesime scuse pure per lui, bene attenta nei dettagli, nel qual caso gli fosse tornata voglia di minacciarmi con la matematica e farsi una chiacchierata per telefono con Lisa.

"Non s'era detto basta, con le sbronze al karaoke?" Ha rimarcato lui, guadagnandosi un altro pizzicotto.

Sospiro, scostando le tendine a pois. La cosa più tremenda è che ormai sono talmente abile, ormai rifilare cazzate mi esce talmente naturale, dal non farmi neanche più sentire in colpa. In compenso, mi sento in colpa per il fatto di non sentirmi in colpa... insomma.

Anche questa volta, sono in modalità casino.

Occhieggio le prime fioriture del pesco fluttuare nella lieve brezza mattutina, in questa giornata appena accennata di sole, al di là della finestra della mia stanza ancora in penombra. Ho la solita emicrania lancinante, ma sto abbastanza bene, rispetto al solito, ora che ci faccio caso. Non ho più avuto problemi con il vomito, ma meglio se rimango all'erta. Non si può mai dire. Accosto le tendine, sbadigliando. L'avere sonno in continuazione si fa ancora sentire, invece. Torno a contemplare l'intonaco staccarsi dal soffitto, sdraiata sul letto, mani incrociate dietro al capo. Ho gli occhi pesanti. È come se non dormissi da una vita e invece, ultimamente ho recuperato il tempo perduto. I pisolini non sono mancati, volente o nolente. Passo le dita sulle ruvide corde della chitarra stesa accanto a me, ascoltandole fremere con soddisfazione e appagamento.

Oh, altro che pluriball.

Ripenso a ieri, quando l'ho trovata nello sgabuzzino. Dev'essere stata di mio padre, andando ad esclusione. Mi sorprende non averla mai notata, impegolata nel disimpegno tra i detersivi, le mollette da bucato, l'odore di polvere e i cesti colmi del cambio stagione.

Peccato che non so suonare la chitarra. Non me ne sono mai interessata ed è uno strumento che non ho mai toccato in vita mia.

Eppure vedendola scaraventata dentro quello sgabuzzino, non ce l'ho proprio fatta, a lasciarla lì.

Inspirando, mi porto a sedere, accogliendo la chitarra tra le braccia e assimilando il senso di completezza nel sentirla accoccolata contro il mio ventre... è la stessa sensazione dolce che si prova abbracciando qualcuno di caro, probabilmente. Serro la mascella, mentre le foglie del pesco lasciano baluginare il loro spettro nella stanza, circondandomi con fiochi bagliori indistinti. Pizzico le corde.

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