Capitolo 8 - Parte prima

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Giorno 6 Maggio 2007

Ricordo una volta in cui eravamo seduti davanti al panorama di

Collerosso, io, Sarah, Teo e Cristoph, dopo una delle nostre scarpinate per

il paese. Stavamo tutti intenti a gustarci i nostri pasti al sacco, lasciando

correre lo sguardo oltre il parapetto affacciato sullo strapiombo, da cui si

scorgevano montagne, paesini e cittadine lontane. Attorno a noi le tortore

cantavano tra gli alberi, nel primo accenno della sera.

Dopo averle ascoltate per un po', Christoph ci disse che in realtà le tortore

non cantano, ma scandiscono una frase ben precisa.

E cioè, "La pas-ta col pes-to."

Sarah e Teo, in quell'occasione, interruppero il loro coretto intonato sulla

sigla di Daitarn per sghignazzare come matti mentre io, da quel momento,

non sono più riuscita ad ascoltare il verso di una tortora per quello che è

davvero. Ormai per me le tortore reclamano i loro piatti di pasta col pesto,

ed è con quella frase sulle labbra che sono riemersa dal baratro.

Ascoltandole a occhi chiusi ho incominciato a canticchiare con loro, senza

neanche sapere dove fossi e soprattutto, senza domandarmi perché cacchio

riuscissi a sentire delle tortore.

Non so bene quanto tempo sono andata avanti con quel verso tra le labbra

ripensandoci, ma sentivo la mia voce, e mi era mancata.

Sentivo il mio corpo, e la mia gola emetteva un suono. Così ho continuato

a sillabare la litania man mano riprendendo coscienza, ascoltandomi

distesa su una superficie morbida, confortevole e fresca. Le mani erano a

palmi rivolti in su, e mi sembrava di avvertire un fastidio in prossimità del

polso sinistro. Ho mosso i piedi: anche quelli c'erano di nuovo, e in rapida

successione ho preso atto della forte sensazione che mi lasciavano i denti

in bocca. Era come sentirli uno a uno, sì, perfettamente posizionati nelle

gengive. E anche le dita, riflettendoci.

Riuscivo a percepire ogni singola sottigliezza, tra le mie mani,

ondeggiando per un po' in quel bizzarro senso di non appartenenza

trasmessomi dal mio corpo. Mi sono sentita come infilata in abiti troppo

stretti, ai quali ancora cercavo di abituarmi.

"La pas-ta..." ciangolavo, e quando una voce accanto a me, tremolando,

ha risposto:

"Col pes-to..." ho spalancato gli occhi, sorpresa, ferendoli col bagliore del

luogo in cui mi trovavo.

Ero in una stanza dalle mura pallide e la finestra appena schiusa, dalla

quale era venuto a svegliarmi il tubare delle tortore. Spostando gli occhi

ho appreso essere una flebo, il fastidio provato al polso. La sua slanciata

figura se ne stava di guardia accanto a me, ancora intontita.

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