Giorno 6 Maggio 2007
Ricordo una volta in cui eravamo seduti davanti al panorama di
Collerosso, io, Sarah, Teo e Cristoph, dopo una delle nostre scarpinate per
il paese. Stavamo tutti intenti a gustarci i nostri pasti al sacco, lasciando
correre lo sguardo oltre il parapetto affacciato sullo strapiombo, da cui si
scorgevano montagne, paesini e cittadine lontane. Attorno a noi le tortore
cantavano tra gli alberi, nel primo accenno della sera.
Dopo averle ascoltate per un po', Christoph ci disse che in realtà le tortore
non cantano, ma scandiscono una frase ben precisa.
E cioè, "La pas-ta col pes-to."
Sarah e Teo, in quell'occasione, interruppero il loro coretto intonato sulla
sigla di Daitarn per sghignazzare come matti mentre io, da quel momento,
non sono più riuscita ad ascoltare il verso di una tortora per quello che è
davvero. Ormai per me le tortore reclamano i loro piatti di pasta col pesto,
ed è con quella frase sulle labbra che sono riemersa dal baratro.
Ascoltandole a occhi chiusi ho incominciato a canticchiare con loro, senza
neanche sapere dove fossi e soprattutto, senza domandarmi perché cacchio
riuscissi a sentire delle tortore.
Non so bene quanto tempo sono andata avanti con quel verso tra le labbra
ripensandoci, ma sentivo la mia voce, e mi era mancata.
Sentivo il mio corpo, e la mia gola emetteva un suono. Così ho continuato
a sillabare la litania man mano riprendendo coscienza, ascoltandomi
distesa su una superficie morbida, confortevole e fresca. Le mani erano a
palmi rivolti in su, e mi sembrava di avvertire un fastidio in prossimità del
polso sinistro. Ho mosso i piedi: anche quelli c'erano di nuovo, e in rapida
successione ho preso atto della forte sensazione che mi lasciavano i denti
in bocca. Era come sentirli uno a uno, sì, perfettamente posizionati nelle
gengive. E anche le dita, riflettendoci.
Riuscivo a percepire ogni singola sottigliezza, tra le mie mani,
ondeggiando per un po' in quel bizzarro senso di non appartenenza
trasmessomi dal mio corpo. Mi sono sentita come infilata in abiti troppo
stretti, ai quali ancora cercavo di abituarmi.
"La pas-ta..." ciangolavo, e quando una voce accanto a me, tremolando,
ha risposto:
"Col pes-to..." ho spalancato gli occhi, sorpresa, ferendoli col bagliore del
luogo in cui mi trovavo.
Ero in una stanza dalle mura pallide e la finestra appena schiusa, dalla
quale era venuto a svegliarmi il tubare delle tortore. Spostando gli occhi
ho appreso essere una flebo, il fastidio provato al polso. La sua slanciata
figura se ne stava di guardia accanto a me, ancora intontita.
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Good Luck
Teen FictionLa sveglia che suona, la mamma che urla e un'altra giornata da trascorrere a scuola in un paesino di provincia: L'inferno personale di Anvil è pronto ad accoglierla anche oggi!Essere adolescenti è già abbastanza incasinato di per sé, ma se sei una r...