Capitolo 14 - Parte 4

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Agnese ha nascosto il viso tra le mani, lasciandomi soltanto intravedere la piega delle sue labbra scivolare verso il basso. I suoi respiri irregolari guizzano nell'aria, formando nuvolette vaporose.

Come mi sarei sentita se fosse successo a me? Se una stupidaggine avesse ucciso Lisa in mezzo secondo?

Semplicemente, non riesco a ipotizzarlo.

Senza pensare, le tocco la schiena. "Senti... non è colpa tua."

Lei non libera gli occhi e ride con amarezza. "Oh, sì che lo è. Mia e di quella stupida chitarra. Se non avessi deciso di fare una gara anche con quella, magari a quest'ora..."

"Smettila" insisto "non è vero." Accartoccio la mia lattina. Mi alzo in piedi. "Era una ragazza competitiva, no? Se proprio doveva succedere, sarebbe successo comunque."

Gniz non risponde e per un po' rimane così.

Io scaglio la lattina nel campo, e ascolto quel respiro smozzicato alle mie spalle.

"Quando ho visto la tua chitarra non so cosa mi sia preso." La sento dire. Fisso i puntini verdi e marroni sul prato, senza voltarmi. "Mi sono impedita di suonare da quando Cri è morta. Non volevo più toccare uno strumento in vita mia. Eppure, quando ho visto la tua chitarra..." Sospira rumorosamente. "Insomma. Sai quando hai una fame bastarda e mangi la prima cosa che capita?"

"Accetto le tue scuse." Rispondo, sogghignando.

Segue un attimo di silenzio.

"Io non mi sto scusando. Stupida."

Ridacchio.

"Era per dire. Pensavo di essere riuscita a farmi passare il bisogno di suonare, invece... dev'essere tutta questa storia del centro giovanile col nome di Cri. La sua foto... questa cosa mi sta dando alla testa. Sono passati solo due anni, ancora non riesco a ..."

"Dev'essere che è la tua passione e che ce l'hai nel sangue." Stringo il parapetto, provando una profonda empatia. "Sai, non si scappa da queste cose." Mi giro a guardarla. Ha una faccia così stralunata che per poco non scoppio a ridere. "Non devi smettere di suonare solo perché hai passato dei brutti momenti o perché ti senti in colpa." Aggiungo, con molta serietà.

Agnese mi studia a occhi stretti, rimanendo zitta per qualche secondo.

"Ma che sarebbero 'sti discorsi da filosofa?" Borbotta poi. "Sei strana. Adesso basta con queste stronzate." Estrae un'altra lattina ancora. "Sfida di lanci. Adesso."

Bene, pare che questa abitudine di gareggiare non si sia volatilizzata in Agnese, alla fin fine.

Passiamo la mezz'ora successiva a finire la scorta infinita della birra nascosta nella sua borsa, disseminando il prato con altre lattine. Certo che dovrei farmi dire dove l'abbia comprata, una borsa tanto capiente... già me la immagino in spalla, zeppa di un paio di quintalate dei miei dolcetti misti preferiti, portati con me a scuola per sopravvivere alle ore di lezione interminabili. Così faccio la doppia zavorrina insieme alla borsona Eastpak, ma almeno sarebbe un dolce peso da portare.

Siamo ubriache.

Ora è certo, perché ridiamo sguaiatamente senza controllo, e tutto è talmente divertente.

Abbiamo caldo e siamo in mezze maniche, e per ora i fantasmi dei nostri ricordi si limitano a guardarci cazzeggiare seduti nel buio, dalle ombre dei sedili.

Sentiamo soltanto per caso una voce maschile chiamarci, quasi completamente coperta dal frastuono del palco e delle nostre risate. Ci giriamo verso l'imbocco delle scale, scoprendoci una figura confusa e slanciata. "Che state facendo?!" Esclama.

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