Capitolo 8 - Parte seconda

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Ho tracciato ipotesi su ipotesi, pensando che forse, nella confusione, poteva semplicemente essere andato perso, poteva essersi sganciato, oppure essere rimasto incastrato nella tasca dei pantaloni. Non ho prove che si sia infine frantumato avendo concluso il suo compito, come narravano le leggende. Stringo gli occhi. Con una fatica possibilmente più intensa ancora, apro il cassetto del comodino di legno accanto a me, frugando alla cieca, tirando fuori gli anellini che ospitavano l'occhio greco.

Li esamino attentamente per l'ennesima volta, la tristezza bloccata in gola come cenere rovente. Eppure, sono intatti.

Se Nazar si fosse sganciato, o fosse rimasto impigliato nei calzoni, non dovrebbe esserci almeno un'incrinatura o qualcosa così?

... o magari si era rotto il suo anello portante ed io sto solo cercando di raccontarmela?

Lascio ricadere la mano in grembo, pesantemente. Cazzo.

Cazzo.

Non è possibile fosse tutto un miraggio. No. No e basta.

Chiudo gli occhi, ascoltandoli accostarsi con estrema gratitudine, sforzandomi di ripercorrere le ultime scene vissute con Nazar in quell'ambiente bianco che ricordo fin troppo bene, una volta ancora. Ho passato gli interi ultimi giorni a cercare di scacciare l'orribile sensazione della pelle che si gonfia, la gola che si chiude e la paura, quel terrore così intenso. Mi sono svegliata di soprassalto più e più volte, convinta che il mio corpo si stesse ingrossando di nuovo, terrorizzata. Eppure, anche se adesso sto bene, non mi sento meglio. No. Proprio per niente.

Una volta superata parzialmente la fase degli incubi ho incominciato a concentrarmi sulla sensazione avuta mentre perdevo i sensi.

Qualcuno stringermi, e sollevarmi. Era come se stessi volando via, come se stessi diventando più leggera, trascinata in alto.

E poi, quel posto...

Deglutisco, rivedendo sotto le palpebre quel bianco morbido. Rivedo la figura di Nazar, sul quale i miei pensieri si sono posati tante e tante volte, non facendomi dormire. Quando ricordo con maggiore chiarezza quegli occhi blu, quegli occhi così veri, così vivi, una lacrima scorre sulla mia guancia. Ed ecco ancora la sequenza in cui Nazar esplode, forse muore, ed io precipito in basso riprendendo la mia pesantezza. Ripenso a questi frammenti, ancora, ancora e ancora.

Dov'ero finita?

Cos'era quel luogo, e come posso credere, anche soltanto per un istante, che non sia mai esistito?

Che Nazar non sia mai esistito?

Il sonno corre presto a tendermi le braccia e lo scaccio decisa, rivivendo con pertinacia, sotto la pelle, ogni singola parte di quell'esperienza.

Io so cosa ho visto.

E so cosa ho sentito.

Non è possibile che Nazar fosse tutta una finzione.

E ... quella frase che mi ha detto, quel suono così strano... mi torna in mente soltanto adesso.

Cerco di ricordarlo, mi sforzo perché era confuso, lontano, come se gli fosse costato fatica. Rivedo le venature scure allargarsi nel suo volto, sentendo ancora la sua stretta attorno a me, per proteggermi un'ultima volta. Il calore, poi... l'amore che sentivo.

Era vero.

Io lo so.

La parola mi torna in testa. Finalmente.

"Antìo". Sembrava "antiò", qualcosa del genere.

Sento il corpo farsi pesante, non riuscendo più a ribellarmi alla stanchezza, domandandomi cosa diavolo volesse mai dire.

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