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Bianco.

È così, lo spazio in cui mi trovo, ma non un bianco abbagliante o accecante.

Piuttosto, quel tipo di bianco che assomiglia alla luce che filtra attraverso qualcosa, che sfocia in qualche luogo.

Ed è in quel luogo, che mi trovo.

E questa è la prima cosa che so.

Non c'è niente qui, non ha una forma. Non ci sono profondità, altezze, o larghezze. È soltanto bianco. Non caldo, né freddo.

Ed io sto pensando, quindi ci sono anch'io, ma non sento niente.

Dovrei avere paura forse, ma la verità è che sono tranquilla, sto piuttosto bene... sì, è così. Mi sento bene.

Sono serena, di una serenità a me del tutto sconosciuta.

Inoltre, mi sento leggera. Provando ad avanzare nel niente, così, per curiosità, ho appreso il mio essere eterea: provo a guardarmi le mani, il corpo, ma non c'è nulla da guardare. Non c'è niente, eppure in qualche modo ci sono io.

Non so da quando o da quanto mi trovo qui, ma certamente provare a spostarmi mi è venuto in mente soltanto adesso, e rendendomi conto di non avere una massa da spostare, il solo pensarlo mi ha spinta avanti. So di avanzare, lo sento, seppure io non spinga niente.

"Dove sono?"

Ho provato a parlare, ma non è uscito alcun suono. Nonostante ciò, il mio pensiero è stato netto, chiaro, udibile in un altro concetto del termine. C'era.

L'ho sentito io, e se ci fosse stato qualcun altro sono certa che l'avrebbe sentito a sua volta.

Mi sposto in avanti, lo scenario è uguale, non cambia. Sembra soltanto variare la sfumatura di questo riflesso che pare davvero filtrare da fuori, o dall'alto, non so bene. Sembra di stare sotto un lenzuolo, una veste, un velo che copre tutto.

"Sono morta?"

Il pensiero è lampante, e considerando che sto nuovamente blaterando tanto tra me, mi rendo conto quanto la cosa non abbia importanza.

Sarò morta? Cosa importa?

Sembra io ci sia, e sia come sempre in grado di pensare a vuoto.

È in questo istante che intravedo qualcuno.

Piacevolmente sorpresa avanzo verso la figura di spalle, vestita di un bel blu acceso, per niente fastidioso. La sua testa priva di capelli è bianca, candida come neve. Un uomo, a giudicare dagli abiti. Non porta scarpe, apprendo avvicinandomi in tutta calma, perché le gambe svaniscono all'altezza del ginocchio. Semplicemente non ci sono, sfumando nel nulla.

Sono molto vicina a lui, quando comincio a sentire una cosa che conosco. Non so perché ma mi sfugge il nome, so soltanto che è piacevole.

Finalmente, ricordo: è calore. Accanto a lui c'è come una nuvola calda.

Quando si volta, il suo viso riesce a colpirmi.

Sembra finto, assomiglia a un disegno, una statua... a un dipinto, forse, ma non certo a un uomo.

Il naso è perfettamente dritto, le labbra sottili, gli zigomi allineati, ospitanti due occhi impressionanti.

Sembra siano stati posizionati da qualcuno, incastrati lì.

Sono diversi da tutto il resto. La sua pelle è bianca, ma i suoi occhi...

Sono lucidi, vivi, simili a un paio di gioielli rari. Il modo che hanno di muoversi ha un velo inquietante, soprattutto quando incontrano me, e probabilmente in un altro stato d'animo mi avrebbero spaventata tanto da farmi fuggire via. Invece non succede.

Sì... sono diversi da tutto il resto, e come il suo completo elegante, anche loro sono blu.

"Anvil."

Non muove le labbra, eppure lo sento. È come se sentissi il suo pensiero, chiaro in mente, nonostante la sua voce non risuoni affatto.

L'essere sorride, e la curva delle sue labbra è dolce. Accompagna in qualche strano modo una luce nel suo sguardo, che potrebbe sembrare inespressivo in un volto così sintetico, invece è la cosa più dolce mai sentita.

Ebbene, percepisco il suo sorriso, e il suo sorriso è amore.

"Nazar." Immagino un sorriso anche per lui. "Sei tu, vero?"

"Sono io, ragazzina." Allunga una mano verso di me poi ci ripensa, riportandola lungo il fianco, il polso stretto nella camicia nascosta dalla giacca. Il sorriso scompare, sebbene la sensazione a esso legata persista. "Dunque siamo qui, infine."

"Dov'è, qui?"

"Sospesi, bambina." La sua bocca si incrina appena. "Dove non avresti mai dovuto finire anche tu."

Per la prima volta da quando sono qui, riconosco in me un altro sentimento. Qualcosa di diverso, da quanto sentito finora.

È il rimorso. E il dolore.

"E' perché non ti ho ascoltato." Non lo sto chiedendo. Lui annuisce. "Sono morta?" Domando ancora.

"Sospesa." Ripete Nazar.

Non parliamo per un po'. Ci guardiamo e basta, anche se forse, a mia idea, lui non ha niente da poter guardare.

"Mi dispiace se sono stata cattiva con te."

"Lo so." Sorride, ma non rinnova alcuna sensazione, perché dalla prima volta in cui ha sorriso, è rimasta qui. "Sei piccola."

"Cosa sei, tu?"

Sorride.

Capendo che non risponderà, insisto. "Perché mi hai aiutato per tutto questo tempo?"

"Sei tu ad avermi chiamato a te."

Un'ombra attraversa la luce.

È così atipico, in questo bianco, da sorprendermi. Sposto l'attenzione sull'ombra, e la vedo allargarsi sopra di noi.

"Non avere paura, Anvil." Nazar allunga la mano, sta volta non tirandosi indietro.

Mi tocca.

Ho qualcosa... sono qualcosa.

Vedo una luce, e sono io.

Sono luce... sono ... energia?

Il buio si è allargato sopra la tenda bianca. Ha coperto quasi tutto questo strano cielo. Eppure, non mi spaventa.

"E' l'ora, bambina."

Torno a guardarlo, e per un solo istante, mi sembra di leggergli in faccia il dolore.

"Ora per cosa?"

L'ombra nera squarcia il velo che ci copre, correndo verso di me, ma non mi raggiunge: Nazar mi tira a sé, coprendomi col suo corpo, confermando la mia strana consistenza. Mi stringe, e riesco a vedere come tutto ciò che ci circonda si abbatta su di lui.

Tutto: il nero, il bianco, qualsiasi cosa siano, si conficcano nel corpo di Nazar.

Sul suo volto corrono delle venature scure, scorrendo sotto la sua pelle come sangue.

Mi ha salvato.

Sorride di nuovo, regalandomi ancora una volta quel famigliare, rassicurante, inquietante sguardo blu.

"Antìo, Anvil."

Nazar si frantuma, esplodendo in miriadi di particelle luminose.

"NO!"

La luminosità si espande, sta volta abbagliandomi, e sento che sto facendomi pesante.

Poi, soltanto, cado verso il basso, accecata dalla luce.

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