21 - Elis

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Me ne sto a gambe incrociate sul letto a fissare un televisore anteguerra appeso alla parete che trasmette repliche di Don Matteo a oltranza. Bel Ferragosto, sola come un cane perché mamma deve portare Chicco a Marta e non vuole farlo deprimere qui in ospedale. Tutte le altre famiglie sono in corridoio con i degenti, c'è una specie di bolgia di gente, qua fuori, tutti che vanno a trovare i parenti, che portano loro vestiti e dolci e giornali e succhi di frutta perché oggi è un giorno di festa e non vogliono far sentire soli gli amici. Già, ma io non ho amici e la mia famiglia mi preferisce rinchiusa qui dentro, piuttosto che a far capitare cataclismi là fuori. Come dar loro torto?

Mi viene da piangere. Tutta colpa di quella maestra pazza, se non avesse preso di mira mio fratello e Vinny, ora sarei al lago per la festa. L'unico essere umano che è entrato è stato il tipo del rancio, che ha mollato un pesante vassoio con sopra piatti coperti e se n'è andato. Ma alle sei di sera chi cena? Non ho mai cenato così presto. Per curiosità ho sollevato i coperchi e quando ho visto le zucchine senza olio e il pollo arrosto duro come una pietra, ho avvertito un conato. Vorrei solo fuggire. In fondo stamattina ce l'avevo quasi fatta, ma quando Marco ha parlato dell'elicottero della Hakkin ho creduto che Vinny sarebbe venuta a trovarmi, l'ho creduto fino all'ultimo. Anche se al telefono non ha negato, il suo sgomento era palese, non è mai stata qui. Non so chi o cosa quell'elicottero trasportasse, ma di sicuro non mia sorella. Non mi ha neanche chiesto come sto.

«Ehi, fuggitiva, come stai?», sento.

Sulla porta appare Marco in sedia a rotelle e vestaglia.

Sorrido e gli vado incontro. «Come mi hai trovata?»

«È un ospedale di provincia, mica una metropoli. Io sto al piano sopra al tuo. E lo sapevo che non stavi a psichiatria», sorride. «Questa è cardiologia, vero? Che c'hai al cuore?»

«Soffro di mal d'amore», gli strizzo l'occhio.

«Beh, ora ci sono io qui», ride imbarazzato.

È davvero carino questo ragazzo, mi ricorda il mio primo amore, l'egoista con cui ho perso la verginità a sedici anni trascorrendo i successivi sei anni a pentirmene. Ma lui è diverso, almeno è simpatico.

Intercetta il mio sguardo distratto e allunga una mano verso di me: «Passeggiamo?».

«Okay», in definitiva era quello che volevo: qualcuno con cui parlare.

Ce ne andiamo fino al disimpegno del reparto in una piccola sala per pazienti in attesa che la stanza assegnata sia pronta. A quest'ora non ci sono degenti in entrata e restiamo soli a sorridere come ebeti. Mi racconta della montagna da cui è precipitato, un volo breve, sennò sarebbe morto, e della ragazza che lo ha lasciato appena ha capito che al posto delle vacanze estive avrebbero affrontato convalescenza e riabilitazione. Poi inizia un discorso accorato sulla sua passione che ha per la Formula uno. Le gare, le piste, i piloti. Che palle.

«Allora, dimmi la verità, mica lo conosci davvero Ivan Battest, eh?»

«Ho capito, mi sei venuto a cercare solo per questo», rido.

S'imbarazza. «Beh, se potessi avere un autografo...»

Mi siedo sulla panca e sospiro. «L'ho incontrato sul serio, non ti stavo prendendo in giro. Ma non lo conosco. Conosco il suo... come si dice... maestro, no... coach. Cioè, veramente l'ho quasi ucciso.»

Marco spalanca la bocca incredulo. «Cazzo, sei quella che ha investito Kay Moser?»

Già, ma che sto dicendo? Mi faccio vanto di aver quasi ucciso una star, io che sono una fallita.

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