13 - Elis

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Un raggio di sole mi ferisce gli occhi e colpisce il viso mandandolo a fuoco. Quando la mano copre la fronte, attraverso le falangi semiaperte spio intorno: ma dove cavolo sono?

Sposto la mano, balzo a sedere su questo letto a baldacchino e mi avvedo di essere in una stanza enorme e lussuosa e, soprattutto, mai vista.

Le tende alla finestra sono di tela, e oltre i vetri intravedo il lago. Mi gira la testa ma mi metto in piedi, ho ancora addosso questo maledetto tubino di pizzo ma sono scalza, qualcuno mi ha tolto le scarpe e portata qui, ma qui dove?

Il telefono sul comodino trilla improvviso facendomi sussultare. Osservo l'apparecchio color crema e noto che accanto c'è un blocchetto con intestato: Hotel Riva Blu.

Il telefono non la smette di trillare, deve essere per me, per chi altri?

«Pronto?»

«Signorina Elisabetta, buongiorno, sono Hollistar, come sta?»

«Hollistar...»

«Ieri sera ha avuto un mancamento e non siamo riusciti a capire dove abitasse. Per cui l'abbiamo alloggiata in albergo in attesa che lei si svegliasse. Spero che la cosa non le abbia arrecato problemi.»

Non avrei dovuto mischiare Champagne al farmaco, che idiota.

«Lo so, sto vivendo in un casale di campagna sperduto in una zona senza segnale GPS, neanche da sveglia saprei indicarglielo, può portarmi da mia sorella? Abita a Viterbo.»

«Certamente. Appena sarà pronta scenda al ristorante sulla terrazza, il signor Moser le ha fatto preparare la colazione, poi partiremo, sarò io stesso ad accompagnarla.»

Sbuffo e mi tornano in mente le parole di Moser: il modo sfrontato in cui mi ha parlato di Vinny. «Non la voglio la sua colazione. E non voglio vederlo.»

Hollistar tace alcuni secondi, forse l'ho spiazzato, poi dice cordiale: «Troverà solo la colazione, stia tranquilla, Moser è già ripartito per l'Austria».

Beh, se sta in Austria, posso anche mangiare, ho una fame.

«Okay, grazie.»


La terrazza è bellissima, affaccia sul lago e ci sono pochi tavoli e pochi avventori, sembra quasi che sia tutta per me.

Un cameriere elegante mi accompagna al tavolo, quello imbandito per un reggimento, e scansa la sedia per farmi sedere. C'è una leggera brezza marina, non è calda, è piacevole, e l'odore di lieviti e fritti mi incanta subito.

«Il signor Moser non sapeva cosa preferisse e le ha fatto preparare sei tipologie di menù», indica, «quella italiana, quella americana, quella francese, quella valenciana, quella vietnamita, quella... ».

«Vietnamita?»

Indica due ciotole di riso e zuppe e verdure speziate.

«Ora vado a elencarle ognuna di queste pietanze», dice.

Alzo la mano e sorrido: «Non ce n'è bisogno, grazie, finiremmo di parlarne all'ora di cena. Va bene così, tirerò a indovinare».

Il cameriere fa un inchino e si allontana.

Riconosco diverse cose: la frittata, il bacon con le uova, cornetti e ciambelle di ogni tipo, marmellate, succo d'arancia, caffè, cappuccino, latte, tè alla menta, al limone e alla pesca, «Mio Dio, io sono di Viterbo. Non era difficile immaginare a cosa sono abituata», sorrido sconvolta.

Mi decido a incominciare, le fette di formaggio francese sono una bella tentazione e una colazione così non mi ricapiterà mai più.

Sollevo il tovagliolo di stoffa dal piatto per portarlo alle gambe, e sotto trovo una busta da lettera rilegata in oro.

La apro e dispiego il foglio che trovo all'interno.

Buongiorno Elisabetta,

spero che oggi lei stia bene e che si sia ripresa del tutto. Mi dispiace per come sono andate le cose, ci siamo travolti a vicenda. Le comunico che non intendo presentare querela alla magistratura, non le chiederò alcun risarcimento per le lesioni personali, le uniche a procedere saranno le rispettive assicurazioni. Lei non mi deve più niente, dopo la mia maleducazione di ieri sera immagino che siamo pari.

Le auguro il meglio, e spero che lei sia felice.

Addio, Elis.

Kay

Finisco di leggere e volto lo sguardo al lago brillante che sovrasta il panorama. Una parte di me si sente sollevata di non doverlo rivedere, vorrebbe dimenticare l'ennesimo incidente sulla mia strada già devastata; Kay è un uomo insopportabile e intrigante e mi destabilizza, non voglio rivederlo, non posso, scatena qualcosa dentro di me che non voglio tradurre. Ma non accetterò la sua carità. Addio un corno, signor Moser.

Afferro il cellulare e gli scrivo.

Elis: Buongiorno, signor Moser. Grazie mille per l'offerta di pace ma io sono una carnefice, lo ha detto lei, e ho tutta l'intenzione di ripagarla in qualche modo. Mi presenti il conto. Grazie.

Chiudo soddisfatta col ghigno in faccia, e solo dopo qualche minuto il sorriso da cretina si spegne, esattamente quando leggo la sua risposta.

Kay: Buongiorno, Elisabetta. Vuole davvero che le presenti il conto? Mi creda, non le piacerà.

Sono attonita, fisso il display incapace di stabilire se sia uno scherzo di pessimo gusto o una minaccia. Sarei tentata di mandarlo al diavolo, ma decido di provocarlo. E non riesco a capire perché lo decido.

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