20 - Kay

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Virginia mi accarezza la pelle, scosta un lembo della mia camicia, la sua mano scende lungo i muscoli dorsali e mi provoca un brivido lungo quando preme sull'inguine.

Sussurra famelica: «Ho amato un solo uomo, mio marito, te l'ho detto. Ma dopo la sua morte non sono riuscita a restare da sola una notte, avevo paura della depressione, e ...» , accarezza la patta con dita esperte facendomi gemere, «...mi sono scopata chiunque mi capitasse. Decine di uomini.»

«No, aspetta, parliamo», le mie mani calano sulle sue spalle.

Lei s'irrigidisce all'istante: «Sono settimane che stiamo insieme, dormiamo insieme, mangiamo insieme, siamo sulla bocca di tutti come una coppia... ma noi non siamo una coppia. Tu mi tratti come un'amica, non mi scopi, non mi vuoi!», urla isterica. «Che ci stiamo a fare in questo albergo? Non voglio parlare, io voglio fare sesso!».

Le accarezzo il viso con la punta delle dita e mi scanso un poco, quanto basta per sottrarmi al contatto dei miei genitali con la sua mano vorace.

«Mi piace viziarti, farti avere tutto quello che desideri. Mi piace la tua compagnia. Ma per ora voglio che il nostro sia un rapporto platonico.»

Mi fissa attonita.

«Se non ti piace l'idea, sei libera di andartene», aggiungo perentorio.

Lei sospira forte. Torna alla carica e le sue mani mi prendono il viso. «Va bene, parlami, Kay. Dimmi cosa ti affligge. Capisco che stai reagendo alla perdita di quella Sophie a modo tuo, e io ho reagito alla perdita di mio marito nel modo opposto. Sono stata una sconsiderata e tu invece ti sei dato all'astinenza, ma sono entrambi sistemi sbagliati, io devo fermarmi e trovare qualcuno che sia giusto per me, e tu devi sbloccarti... »

Le afferro i polsi e stringo. «Sei fuori strada, Virginia.»

Mi guarda con occhi lucidi, li stringe e trattiene un singhiozzo. «Non è vero, ho capito che questa Sophie di cui parlavi con la stronza di Vogue deve essere stato il grande amore della tua vita...»

Mi viene da ridere ma trattengo l'impeto.

«Te l'ho detto: sei fuori strada.»

***

Virginia addenta un cornetto con una foga formidabile. È arrabbiata. Tra poco tornerà alla carica. Devo decidermi, non posso continuare ad avere nella testa questo gesso.

Il suo accappatoio è slacciato, siede mezza nuda con le tette di fuori e la bocca piena di zucchero. Ha delle tette grosse e dei capezzoli turgidi e scuri e grandi, da mordere e da succhiare, sono la cosa che preferisco di lei. Eppure non mi fa l'effetto che dovrebbe, mi pare di essere qui a contemplare un quadro che mostra uno scenario erotico e vuoto. Tremendamente vuoto.

Bevo il mio caffè e non posso fare a meno di notare che alle sue spalle il cellulare brilla silenzioso sul portavivande con le caraffe del tè.

«Tesoro, il tuo telefono sta squillando.»

Lei scrolla le spalle e mi parla con la bocca piena. «Che squilli. Oggi sono solo tua. È festa, non voglio seccature. Stasera andiamo a vedere i fuochi d'artificio a San Tropez?»

Glielo avevo promesso, è vero. Ma è stato prima di incontrare quell'angelo pieno di segni e di ferite. È stato prima di rendermi conto che non posso più andare avanti così.

«Potrebbe essere la tua famiglia. Sbaglio o hai una sorella in ospedale?», dico incolore.

Lei alza gli occhi al cielo e sbuffa. Poi si sporge sul piano alle sue spalle e osserva il display.

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