3 - Elis

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Apro gli occhi e a giudicare dall'odore di minestrina, dai rumori accavallati che rimbalzano su pareti altissime, dallo squallore dei colori, mi trovo di nuovo in un dannato ospedale. La prima figura che vedo ai piedi di un letto scomodissimo che ha un materasso di gommapiuma spesso come una sottiletta e piegato in tre parti su una rete meccanica, è quella di Vinny. Per niente amichevole. Sul piede di guerra.

«Hai sfondato la macchina a noleggio. Per ripagarla ci romperanno il culo.»

Mormoro: «Mi sento meglio, grazie per averlo chiesto».

«Sei una cazzo di calamità naturale, Elis. Appena ti muovi fai danni.»

«Se tu sei qui», mi sforzo di chiederle, «chi è andato a recuperare Chicco?».

Lei sospira spazientita. «Lo ha preso la Morante.»

«Perché lo hai lasciato con un'estranea? Adesso sarà spaventato, perché non ci sei andata tu?»

Si china verso di me con le mani premute contro la testiera di ferro e sibila: «Perché io dovevo venire a recuperare mia sorella mezza morta che a ventidue anni non sa neanche guidare una Smart, poi dovevo firmare una pila di fogli, ritirare il referto e sperare che quello che hai travolto fosse ancora vivo. Dopo di che ripagare l'assicurazione, l'agenzia e il Dio pagano. E non necessariamente in quest'ordine».

«Il tipo della moto come sta?» E intanto mi viene in mente chi potrebbe essere: sono quasi sicura di aver visto quel volto su un giornale a casa di mamma.

«Vivo. Te l'ho detto.»

«E chi è il pagano?»

«Dio pagano è un modo di dire, il tizio che hai investito è qualcosa di sovrumano. Ma capisco che una che non ha nemmeno la televisione non possa comprendere gli archetipi. E sei l'unica al mondo che in mezzo ai campi elisi tra pecore e mucche è riuscita a investire l'unico adone presente nel viterbese, che per tua fortuna ha solo qualche frattura. Te lo concedo, hai talento.»

«Dammi il telefono», allungo una mano verso di lei, «voglio parlare con Chicco».

Praticamente me lo lancia addosso, in pieno petto, facendomi gemere.

Cerco di ignorarla e chiamo la Morante. Dopo i primi convenevoli sul mio stato di salute, la sfortuna, le curve maledette, esasperata la prego di passarmi Chicco.

«Elis?», ha la vocina spaventata, lo sapevo.

«Chicco, va tutto bene, stai tranquillo, ora la signora Morante ti riporta a casa da me.»

«Perché non sei venuta tu a prendermi?»

Sospiro. «Che cosa hai combinato alla Colonia?»

Lui sbuffa, ci pensa, poi vuota il sacco: «Ho tirato i capelli a una stronza.»

«Francesco, non dire le parolacce! E ti ho detto che non devi fare i dispetti alle compagne di classe.»

«Non era una compagna di classe, era la maestra.»

Impallidisco.

Mia sorella scuote la testa: «Un altro disastro come te. Siete uguali».

Più tardi Vinny, ottenute le dimissioni e un referto per nulla confortante sul mio nuovo attacco cardiaco, mi aiuta a rivestirmi, mi appoggio alla sua spalla e lei quasi la scansa per farmi cadere, ma alla fine resta salda e rigida come se il contatto le desse molto fastidio ma fosse preferibile a dovermi raccogliere dal pavimento.

Ha una faccia diabolica mentre dice: «Il Dio pagano che hai investito è nella sala accanto a questa, ora vai, ti scusi e cerchi di limitare i danni, perché se quello nella denuncia presenta un referto di cento mesi di convalescenza finiamo di ripagarlo quando Chicco andrà all'università».

Sbianco. «No, ti prego, vacci tu a parlarci, tu sei più grande di me, sei brava con le persone, sai gestirle. Parlagli tu, patteggia. Sei brava a patteggiare.»

Sbraita: «Dio, Elisabetta, non sei solo una spina nel fianco, sei pure una cacasotto.»

Mi molla e finisco con la spalla contro il muro. Prende e esce col passo marziale lasciandomi qui al mio mal di testa.

Conto fino a dieci e poi mi trascino lungo il corridoio.

Si è radunata una piccola folla in fondo al reparto, spinta tra le ante della porta antipanico. Tre infermiere impediscono il passo ad alcuni tizi che scattano foto al corridoio chiamando un nome a gran voce, un po' come quando i paparazzi sulle passerelle urlano al divo di girarsi. Forse in questo triage è ricoverata una star. Forse la star che ho quasi ammazzato.

Mi affaccio furtiva e di nuovo in fibrillazione, sbircio il necessario per assicurarmi delle condizioni del tizio che ho investito, e resto sconvolta appena lo vedo supino, col collare, le bende sul petto, Dio, l'ho massacrato. Lo spio un po', mentre mia sorella gli parla con lo stesso tono inviperito che usa con me, senza nessuna premura. Ha ragione Vinny, nonostante la situazione e tutte le fasciature il tipo è decisamente attraente. Ha un fisico tonico, i muscoli tesi, disegnati, le spalle molto larghe e il viso simmetrico, con una barba rada e due occhi penetranti. Mi nascondo all'istante e finisco con le spalle premute contro la parete. Ci manca che sia davvero un attore o un modello e che io gli abbia appena distrutto la carriera. A quel punto finirò di ripagarlo quando Chicco sarà padre.

Lo sbircio un'ultima volta e ho un sussulto: credo che mi abbia vista. Merda, mi ha guardata e ha assottigliato gli occhi in una ruga tagliente. 

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