EPILOGO

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IERI

Kay

Non sono in grado di spiegare cosa ho provato quando mi sono trovato lei stretta tra le braccia, premuta contro il mio petto. Per tutta la notte, tra le lenzuola, dopo averla fatta mia per ore e aver ascoltato i suoi gemiti, i suoi respiri da donna. La verità è che non ho mai dormito con nessuna, che non ho mai amato nessuna come amo lei. Sembra una ragazzina prepotente e un po' ingenua, ma ha una testa matta e una sensualità bastarda, una donna bambina che mi ha fottuto il cervello e mi ha fatto godere come nessuna. Non so neanch'io quando ha scalfito le mie difese e si è impadronita del mio cuore: forse è stato il giorno che non mi ha degnato di uno sguardo mentre io la guardavo vorace; oppure quando mi ha guardato. Potrebbe essere successo quando è arrossita violentemente, quando l'ho sfiorata, quando mi ha insultato, o quando l'ho salvata. Non so quando il mio tunning ha smesso di funzionare e le ha permesso di entrarmi dentro fino a toccarmi l'anima. So solo che adesso la stringo e la amo, e scopro che amare è facile... e bellissimo.

OGGI

Elis

Sono affacciata alla balaustra in cima agli spalti. Da qui le auto che corrono sulla pista di Maranello sembrano saette che svettano e che sfrecciano disperdendosi nel rombo di tuono e nella scia che si lasciano dietro. Stelle filanti che ingoiano asfalto e planano libere. Anche io da un po' mi sento una stella, più veloce, più libera. Aveva ragione Kay, col mio Tunning sul cuore riesco persino a sentirmi leggera. Ho smesso di condannarmi e ho ricominciato a vivere. So che mio padre avrebbe voluto questo per me, che non mi facessi del male, che non rimuginassi sul passato e sugli sbagli, che non condannassi me stessa per non essere stata più forte del destino. Lo stesso è accaduto a lui, il suo amore per me lo ha aiutato a ricominciare.

La brezza della sera di questo autunno mi investe, da quassù ogni attimo è un fotogramma, e immagino che come un puzzle diventerà il mio film. Lo penso appena Kay mi arriva accanto con l'hot-dog che gli avevo chiesto, lui morde un'estremità e io l'altra. Lontani da occhi che scrutano, da flash rubati, da voci invidiose, ce ne stiamo a seguire il campionato di Ivan Battest coperti da cappellini della Hakkin, avvolti nei giacconi pesanti, abbracciati come due ragazzini. Lui ogni tanto parla di cose che non capisco, sono numeri, prestazioni, condizioni dell'auto, lamentale sui meccanici o su meccanicismi, e io sorrido e gli bacio la guancia. Sono tante le volte che non capisco cosa dica, soprattutto se impreca in tedesco, ma ogni volta ci basta guardarci negli occhi per bruciare di nuovo. E restiamo così, affacciati sul mondo, a ridere di chi ancora scrive di noi e dice che presto lui si stancherà di me, che sono troppo giovane e troppo diversa. Ridiamo di loro, delle loro penne pungenti, perché sappiamo di aver già comprato l'album in cui infileremo le foto che faremo da qui a per sempre...

Interrompe i miei deliri con un lamento. «Quell'insopportabile socio che ho!»

Sorrido. «Chi, Hollistar?»

«Non fa che schernirmi da quando mi sono fidanzato.»

«Schernirti su cosa, su di noi?»

«Dice che da quando sto con te sono cambiato, ho scoperto l'amore e tutte le balle che fa fare... e insomma... adesso tutti quanti potremo avere un Natale normale, e l'estate andremo in vacanza come le persone normali, invece di lavorare a oltranza. Quello scansafatiche.»

Mi acciglio: «Mi stai dicendo che i tuoi collaboratori non hanno mai fatto una vacanza?».

Lui china la testa e blatera: «Beh... insomma...»

«Oh, sei uno schiavista!», rido di lui.

Mi mette un braccio intorno al collo e avvicina l'hot-dog alla mia bocca. «Ora non più. Ho smesso di punirmi anch'io, ricordi? Le pause non mi fanno più paura», mi bacia la fronte, «ora ho te ed è con te che le condividerò».

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