L'ho vista, è lei, è arrivata.
Indossa un tubino corto e stretto e non è difficile scannerizzarne la siluette così esile e tragicamente perfetta. Ha il fisico atletico e minuto di una ginnasta, bassina ma elastica, a letto deve essere pazzesca. Ma qui si muove goffa e sospinta dal vento come una foglia leggera e senza direzione.
Richiamo l'attenzione di Hollistar. Lui si china sul mio orecchio.
«C'è la mia carnefice, Elis, Elisabetta Loi. A ore dieci, terza fila da sinistra, bionda e magra, tubino nero, valla a prendere. Se non me la porti ti licenzio.»
Il mio vice non commenta, non ne ha il tempo, e si lancia alla caccia di Elisabetta.
Più tardi sono costretto a lasciarla alle cure di Hollistar che la conduce nel privè, ho troppi occhi addosso e non voglio metterla in mostra ma, mentre i giornalisti mi assalgono il mio pensiero fisso va a lei, devo sbrigarmi a tornare da lei.
Quando lo faccio ho un fremito lungo che mi pervade lo stomaco: il mio pupillo a cui non posso spezzare le gambe perché è un talento assicurato per milioni di dollari, le siede vicino e le parla amichevole, sì, come un coetaneo. Provo una sorta di invidia; avrò almeno quindici anni più di questa ragazza, e il motto che mi scatta nella testa è: guardare ma non toccare. Però voglio che Ivan Battest sparisca, prima che lei gli metta gli occhi addosso.
Quando mi avvicino noto che Elisabetta è più attratta dalle tartine che da lui, e tiro un sospiro.
Una ballerina. Per questo ha un fisico esile ma tonico. E non ha figli. Che sollievo, potrò chiederle i danni senza preoccuparmi di sottrarre denaro a un bambino innocente. Anche se più la guardo, più mi domando se sia il caso di chiederle i danni. È vero, sono su questa maledetta sedia, ma sarà per poco, poi ognuno tornerà alla normalità e potrà dimenticare questa storia. Io potrò dimenticarla. Ora però non so toglierle gli occhi di dosso: è fasciata in un tubino di pizzo così seducente che non sembra averlo scelto lei, per come si muove goffa e senza preoccuparsi di attirare l'attenzione su quelle cosce affusolate e bianche, nude fino all'inguine, accavallate ma in continuo movimento, le dondola come danzasse senza sosta. E poi il pizzo stride con quei capelli arruffati che le ricadono senza verso sul viso piccolo, come se si fosse fatta uno shampoo e li avesse asciugati al sole. Non ha un filo di trucco, la sua è una pelle perfettamente compatta, lucente al pari di quegli occhioni verdi che brillano anche nell'ombra di questo giardino. E impone formalità, non desidera che le dia del tu, che insieme all'idea di non poterla avere, spegne il mio temperamento passionale imbrigliandomi a un atteggiamento educato che mi fa sentire un vecchio.
«È stata un'impresa riuscire a incontrarla di persona, signorina Loi.»
Ma avrei voluto chiederle: Elis, chi diavolo è Francesco? Il tuo ragazzo? Invocavi il suo nome nel delirio. Dov'è, adesso, questo tizio? Come mai non ti ha accompagnata, che razza di idiota è?
I suoi occhi si oscurano, ha notato la mia improvvisa formalità. Ora mi teme, pensa che stia per parlarle di soldi, immagina che non sorriderò più e che la metterò sotto pressione con richieste di risarcimento al di sopra delle sue possibilità.
Abbassa il viso e fissa i suoi piedini piccoli e fasciati in un paio di sandali bassi che mi fanno ammattire con tutti quei nastri che le incatenano le caviglie sottili facendola sembrare una schiava.
«In realtà non so perché ci siamo incontrati», dice timida, «bastava mettere gli avvocati, no? Mia sorella Virginia ha un avvocato che...»
«Sua sorella Virginia mi ha chiesto un lavoro e si è offerta di venire a letto con me.»
Mi pento immediatamente di averlo detto quando la sua mano fulminea si stringe sul petto, all'altezza del cuore, e i suoi occhi mi fissano sbarrati.
«Ma che stronzo», sussurra.
Sussurra e mi detesta. L'ho scalfita, parlando della sorella ho scheggiato quell'aura perfetta, ho aperto una ferita. Una ferita che doveva già ardere sotto la pelle intatta di questo angelo.
Provo a patteggiare l'inganno con la gentilezza: «Dimentichi quello che ho detto, sono stato un maleducato, le chiedo perdono».
Lei non si muove più, i suoi piedi non dondolano più, la sua mano rimane stretta sul petto e ho paura che non stia neanche respirando, sembra che faccia fatica a riempirsi i polmoni.
«Lei si prende confidenze che... che non può prendersi», tentenna.
«Ho toccato un tasto dolente, me ne rendo conto, e mi scuso.»
Elisabetta si mette in piedi e barcolla, per un attimo incespica e ricade sulla poltrona, poi si rialza e mi indirizza lo sguardo più duro che occhi dolcissimi riescono a mostrare.
Osserva il bicchiere di Champagne da cui ha bevuto e lo fa con occhi corrugati, come se avesse realizzato di aver ingerito veleno.
La sua voce è un lungo fiato sibilante e parla senza guardarmi: «Avrà i suoi soldi con gli interessi, a costo di trovarmi altri due lavori per ripagarla, ma adesso me ne vado», la frase finisce col fiato spezzato, e il fianco si inclina e caracolla contro il bracciolo della poltrona per poi risollevarsi.
Sposto le ruote verso di lei e le arrivo così vicino da toccarla: «Elis, un momento».
«No, me ne vado», trema, sta tremando. Ricomincia a fissare il bicchiere. «Maledetto farmaco», bisbiglia.
Farmaco?
Le afferro il polso: «Non le chiederò denaro, voglio solo che lei non se ne vada. Non così. Mi dica se c'è qualcosa che posso fare. Lei non sta bene...»
«Oh, insomma, mi lasci!», dopo averlo esclamato la vedo piegarsi sulle ginocchia e perdere i sensi. Mentre crolla, fulmineo l'afferro con un braccio e lascio che mi ricada sulle gambe. È la seconda volta che mi sviene addosso.
Le osservo il viso, in adorazione. Elisabetta, da dove vieni? Chi sei? Perché sei così bella e sei finita sulla mia strada? Perché non apri gli occhi e mi chiedi di restare?
Nessuno se n'è accorto, credono che sia un'amica delle mie, di quelle a cui la mia schiena dolorante permette di sdraiarsi su di me per sedurla come faccio sempre. Nessuno ci sta guardando e io divento egoista e per dieci secondi la stringo tra le braccia, approfitto della sua incoscienza per oltrepassare per un solo momento il limite invalicabile che mi sono imposto. Elisabetta, perché mi fai questo effetto? Quale maledizione hai scagliato su di me?
Annuso i suoi capelli che odorano di fragola, e sfioro il vestito di pizzo, e la mia mano indugia lungo il fianco fino alla pelle liscia della coscia che premo con voluttà stringendo nel palmo la sua carne fino a lasciarle il segno delle dita che le imprimo dentro. Trattengo un ringhio di piacere nel petto e con la bocca le sfioro il collo così caldo, così invitante, che pulsa, e vorrei divorarla, sa di buono, di fresco e di fuoco. Mi fermo quando capisco che potrei perdere il controllo. Lei si sposta ed emette un mugugno, non è cosciente o mi avrebbe già schiaffeggiato. Oh Cristo, quanto è bella, la voglio. La voglio e non sono abituato a perdere.
Ma lei devo lasciarla andare.
Faccio un cenno a Hollistar che subito mi arriva incontro.
Con le labbra increspate dalla frustrazione dico: «È svenuta. Chiama la vigilanza medica, falla controllare, poi chiama l'autista, riportala a casa, vai con loro e falle avere tutto quello di cui ha bisogno.»
«Vado anch'io?»
«Sì, anche tu, voglio sapere che è al sicuro, con qualcuno di cui mi fido», gli lancio un'occhiata severa e lui la incassa e si muove subito. Me la porta via di dosso e quando trascina via il suo corpo lontano da me, sento un vuoto e uno spostamento d'aria attanagliarmi i sensi, come se mi avessero strappato la cosa più importante, l'unica che non ho mai avuto e che non avrò mai. La curva che non ho saputo afferrare, la corsa che non ho vinto, l'automobile che ho distrutto. Il podio che non ho calcato. Ma è un desiderio censurato, proibito, che devo rimuovere subito.
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⭐TUNING HEART⭐
RomanceCOMPLETA***Sullo sfondo di una pista di Formula Uno, un amore è proibito oltre ogni limite. * * - Dubita che le stelle siano fuoco; dubita che il sole si muova; dubita che la verità sia mentitrice; ma non dubitare mai del mio amore. - (W. Shakespea...