14 - Kay

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«Il problema sono le gomme», dice Ryder Snow, il meccanico di Battest, «già al secondo pit stop avevamo perso aderenza, dobbiamo sostituirle».

Non lo guardo, sono ancora col cellulare in mano a fissare l'ultimo messaggio che mi ha inviato la mia carnefice.

Lui continua petulante: «Con la pausa estiva è tutto più lento, coach Moser. Anche le revisioni procedono a singhiozzo».

Un rombo supersonico ci investe e per un momento restiamo immobili sul ciglio della pista col vento in faccia e gli occhi stretti. L'esercitazione va avanti da ore e Battest oggi non ci sta con la testa, non fa che pensare alle sue vacanze mancate, è un cazzo di casino. I tempi che stanno facendo non sono soddisfacenti, finisce che quest'anno andremo tutti a casa. Sarà che sono nervoso, insofferente, da quando i miei spostamenti sono sopra questa sedia, sono un fascio di nervi tesi che rischia ogni secondo di prendere fuoco. Ho bisogno di tornare in piedi.

O forse è stato il suo ultimo messaggio a mandarmi fuori di testa.

Raggiungo la cabina e c'è Hollistar che urla al telefono, parla prima in inglese, poi in francese, prenota un viaggio in Asia, lui e sua moglie non amano l'occidente, e non si capisce con quale servizio di catering ce l'abbia.

Clarice con fare gentile si china su di me e mostra un vassoio pieno di cose dolci e salate e alcoliche e analcoliche. Ha un fisico statuario e quasi quasi me la scopo. Ho bisogno di calmarmi. Forse è questo il solo modo per riuscirci.

Un'ora dopo, mentre lei mi cavalca a testa indietro con la foga di una puledra fuori controllo, mi rendo conto che non sto godendo come si deve, che con questo mal di schiena è impossibile riuscire a venire, non la voglio sopra di me, non so cosa ci faccio qui. Lei viene con un gemito vibrante e appena lo fa, la scanso da me e la costringo a spostarsi di lato, mezza nuda e ancora col fiato spezzato dall'orgasmo. Non l'avrei mai lasciata insoddisfatta, nessuno deve provare quello che sto provando io.

Forse fratturarmi è stato provvidenziale quest'anno. Inizio a credere che potrei uscirne, forse le mie possibilità di condurre una vita normale non sono ancora sfumate.

Clarice mi vede inquieto, percepisce la mia frustrazione.

«Sono le gambe? È stato l'incidente?», mi domanda flebile in inglese.

«Non lo so», le rispondo in francese, la sua lingua madre.

«Posso provare così», mi arriva addosso e sfiora l'inguine, vuole prendermelo in bocca ma con una mossa fulminea la blocco. «Lascia stare. Non mi va più.»

E una parte di me ne va fiera. Ma l'altra si crocifigge ripensando al messaggio.

Elis: Sono pronta a pagare.

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