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Roxanne Silas riprese dolorosamente conoscenza. Sentiva male alla testa, non riusciva a ragionare né a capire dove si trovava. Era distesa per terra, su di una superficie dura e fredda. Per qualche istante non seppe nemmeno cosa ci facesse lì. Dopodiché iniziò a ricordare.

Il suo assegnamento come apprendista dell'Immacolato Laurence Moore. La sua prima missione, la ricerca della Manifestata Rachel Sondberg. L'inseguimento dei cacciatori d'organi che l'avevano intercettata ed intrappolata, il tentativo di liberarla. E poi... poi avevano trovato uno di loro, tramutato in mostro, in una stanza. Una trappola tesa per loro da Natalya Long...

Sentì nuovamente il sapore del sangue nella bocca ed ebbe un conato di vomito che represse a fatica. Riuscì a risollevare il capo e guardarsi intorno. Si trovava in una piccolissima stanza, almeno questo era quello che le sembrava. C'era una lampadina al neon al centro della stessa, che la illuminava. Si trovava all'interno di una gabbia, come un animale. Era una piccola gabbia, più adatta ad una bestia a quattro zampe che ad un essere umano. Non poteva sollevarsi in piedi ed era obbligata a starsene a carponi. In condizioni normali avrebbe potuto probabilmente piegare le sbarre e scappare grazie al suo corpo potenziato, ma si sentiva privata di ogni energia. Qualcosa doveva esserle stato fatto mentre era stata stordita, perché la testa non sembrava avere intenzione di smettere di girarle.

–Mi sono sempre chiesta...– la voce era fredda e distaccata, una lama che si infilò nelle sue orecchie e nel suo cervello. Qualcosa scattò nella testa di Roxanne Silas, ed un dolore tremendo le afferrò il cervello. Si accasciò a terra, agonizzante, quasi incapace di respirare.
–... che cosa significhi appartenere a qualcosa. Avere una sorta di famiglia, capisci? Una sorta di... luogo, a cui sentirsi di appartenere.
Roxanne Silas si voltò, in agonia, ogni fibra del suo essere ricolma di dolore, seguendo la provenienza della voce. Vide, sebbene non in maniera chiara, una figura seduta poco distante dalla sua gabbia. Non appena quella ebbe finito di parlare, il dolore alla sua testa si ridusse notevolmente, permettendole di guardarla con più lucidità.
Era una donna, elegantemente vestita con un lungo abito grigio, le lunghe gambe accavallate con classe, i capelli raccolti castamente dietro la testa, un volto sereno e distaccato. Sembrava una professoressa che si preparava ad interrogare la sua classe. Il suo sorriso era appena accennato, giusto una lieve piega delle labbra.

–Tu sei Natalya Long...– disse Roxanne. Rabbrividì a quelle parole, come se solo in quel momento si rendesse conto di chi avesse di fronte.

–Il tuo istinto non ti inganna.

A quelle parole nuovamente il dolore aveva colpito la giovane Roxanne, riducendola ancora una volta senza forze.

–Cosa... cosa mi hai fatto?

–Oh, solo un piccolo ritrovato tecnologico che ho fatto preparare ad un mio amico nel quartiere di Zolfo qualche mese fa. Mi venne l'idea durante un mio sogno. Vedi, in questo sogno stavo parlando con mia madre, una donna davvero autoritaria. Le stavo parlando del mio nuovo fidanzato, un giovane ragazzo che avevo conosciuto pochi giorni prima ad una festa a casa di un'amica. Un ragazzo davvero in gamba. Mia madre, tuttavia, era una donna meschina. Una donna che era rimasta ferita dalla vita, e che si sentiva in trappola con quel becero di mio padre. La sua vita era stata una lunga sequenza di giorni infelici, nei quali aveva visto i suoi sogni infrangersi uno dopo l'altro nella vecchiaia. Appassirsi di fronte alle sue stesse mani, e diventare cenere. In questa cenere aveva covato il suo astio, la sua amarezza per la vita. Era una donna comunque estremamente intelligente, estremamente abile con le parole. Sapeva esattamente quali corde toccare per farmi star male, sapeva esattamente cosa dire per ridurmi ad uno straccio. Io, personalmente, non sono mai riuscita ad eguagliarla in questo. Stavo avendo questo sogno, in cui le confessavo di essere andata a letto con questo ragazzo, e lei... beh, lei non poteva semplicemente accettare che io fossi felice. Lo aveva percepito, comprendi? Lo aveva visto nei miei gesti, nelle mie espressioni, nei miei occhi. Avevo cercato di nasconderglielo, naturalmente, ma per una creatura della notte come lei anche il più piccolo spiraglio di luce appariva come un faro puntato sulla mia esistenza e sulla verità. In questo sogno lei mi convinceva di aver fatto una sciocchezza, di essermi fatta sfruttare, e che tutto sarebbe terminato con me, sola e sconsolata, a piangere in un angolo. Cosa che poi successe, ma questa è un'altra storia. Allora mi sono svegliata ed ho pensato... io no, non ho mai avuto questa abilità straordinaria, questa capacità di iniettare dolore nell'animo delle persone con il solo uso delle mie parole ma, hey! Noi ci troviamo a Babylon, dove nessun sogno è irraggiungibile se hai abbastanza denaro e i giusti contatti, dico bene.

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