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Era iniziato tutto una mattina come tante altre. Quella mattina, se avesse avuto gli occhi solo un po' più aperti, avrebbe capito tutto con molte settimane di anticipo.
Perché non aveva visto? Perché non aveva capito?

–In verità, per quanto io ti voglia bene, tu sei uguale ad ogni altro in questa città. Solo una macchia indistinta in mezzo alla struttura delle cose. Una piccola macchia, come posta da un minuscolo pennello, in mezzo a tutte le altre macchie di colore, a formare il grande affresco che è questa città. Un affresco fatto di felicità contraffatta, di compromessi al ribasso, di benessere sintetico, bellezza predeterminata.

Teresa era sempre stata la ragazza più bella dell'istituto dove loro due avevano studiato per tutti quegli anni, il che era tutto dire, considerato che quell'istituto, nel centro storico e culturale di Babylon, nel quartiere di Ottone, era forse uno dei tre o quattro più importanti di tutta la città. Solamente le famiglie più abbienti di Babylon potevano permettersi di mandare i loro figli in quella scuola, e spesso soltanto uno o due di suddetti figli. Solitamente i primogeniti o coloro in cui erano stati scelti i geni e le caratteristiche genetiche più adatte per avere successo nella vita futura.

L'azienda leader nel settore della manipolazione genetica, la Morgan, aveva ovviamente prezzi molto elevati, e solo le famiglie più abbienti potevano permettersi il futuro migliore per la propria progenie.

In quel luogo si trovavano persone il cui futuro era stato minuziosamente progettato dalle famiglie e dagli ingegneri che li avevano migliorati subito dopo la nascita. Tutti loro erano stati messi al mondo e progettati per essere non solo il futuro di Babylon, ma il suo cuore pulsante, il motore centrale, la nuova classe dirigente. O almeno, avere l'illusione di esserlo.
Come tali, tutti quei ragazzi erano di una bellezza sconvolgente e di un intelletto straordinario. Il loro portamento, i loro volti, le loro costituzioni, le loro menti, erano state assemblate dalle geniali menti di Babylon, nelle celle di Nascita, migliorati solo pochi minuti dopo aver emesso il primo vagito. Ogni deformazione, ogni difetto, ogni mutazione indesiderata, ogni difetto portato dalla genetica o dall'aria inquinata della città, era stato tutto rimossa dal loro DNA; che era stato poi arricchito ulteriormente di nuove meravigliose caratteristiche, rendendoli una spanna superiore alla generazione che li aveva generati. In questo modo Babylon progrediva nel suo sviluppo, mettendo al mondo i suoi nuovi figli.

Tuttavia, in mezzo a tutto quel perfezionarsi, la natura umana trovava ancora il modo di sorprendere i biologi che pure avevano mappato fino all'ultimo frammento il codice genetico umano ormai da anni. Ogni tanto, nasceva ancora qualche essere dalle caratteristiche sorprendenti. Per questo motivo il DNA non veniva modificato mai in maniera troppo spinta, per permettere alle peculiarità proprie di ciascuno di emergere durante la vita, di manifestarsi, e creare così le differenze che avrebbero tracciato la linea di divisione, quella che avrebbe distinto i leader dai seguaci.

Teresa era destinata a tutto questo. In mezzo a tutti quei giovani dall'aspetto già perfetto, lei era il pinnacolo della perfezione, la raffigurazione della grandezza. Un genio fin da bambina, aveva già contribuito ad alcune pubblicazioni accademiche, vinto svariati tornei di scherma fin dalla più tenera età, composto alcune sinfonie che ancora in quegli anni erano applaudite negli anfiteatri della città e scritto un paio di romanzi, nel suo tempo libero, che venivano studiati nelle aule di letteratura affianco a quella in cui lei faceva lezione di matematica.
La scuola le aveva chiesto di tenere alcune lezioni insieme ai professori, ma lei si era rifiutata, adducendo il fatto di non avere abbastanza tempo per star dietro a tutti quegli impegni. Non era vero, ovviamente. A diciannove anni Teresa aveva raggiunto tutto quello che avrebbe potuto desiderare raggiungere, ed anche di più. Ed aveva iniziato ad annoiarsi.

Non le erano più di interesse le feste, i simposi, le conferenze, o le lezioni universitarie. Per quanto perfezionati, per quanto belli e pasciuti fossero i figli dell'alta società di Babylon, per quanto dolci le loro parole, per quanto angelici i loro volti, per quanto brillanti gli occhi, in loro aveva iniziato a percepire qualcosa che la urtava nel profondo, ad un livello che non apparteneva neppure al suo conscio. Aveva impiegato in verità più tempo di quanto si era aspettata per comprenderlo. Non si trattava di mediocrità. Per quanto lei fosse superiore agli altri, quello che frequentava era comunque un ambiente di persone dalle capacità più che straordinarie. Non si trattava nemmeno della loro educazione, o del modo di parlare o di porsi.

Tutte quelle qualità, in verità, erano state affilate e rese taglienti come lame. Ognuno di quei ragazzi sarebbe stato, in un futuro non troppo remoto, responsabile di imperi finanziari in grado di superare le fantasie di molti bambini. Non era stato permesso che in loro albergassero dei difetti tali da poter mettere a rischio il futuro di tali società. Questo voleva dire che in essi non c'era nemmeno traccia di orgoglio, arroganza o superbia. Erano perfetti strumenti di progresso e sviluppo, uomini e donne che chiunque avrebbe potuto solo ammirare e amare.

E allora cosa? Cosa c'era di sbagliato in essi che la urtava così tanto?

–Cosa vuoi dire che "predeterminato"?– aveva chiesto Rachel, confusa e incerta se sentirsi offesa dalle parole dell'amica o meno.
Si trovavano in cima alla vecchia casa di Teresa, sopra al tetto. Sulle loro teste, le fronde di una magnolia più vecchia dei loro padri le sormontava, riparandole dalla luce del sole. Era un angolino, quello che avevano individuato tra i comignoli dell'antica villa, in cui nessuno era mai riuscito a trovarle, nonostante le lunghe ore che la servitù aveva impiegato per cercarle. Ovviamente, per un membro dell'alta società come Teresa non era tollerato che i chip mentali ne violassero la privacy tracciandone la posizione.

Ogni volta che Teresa, nel corso degli ultimi anni, aveva sentito il fastidio verso il resto dei suoi coetanei pesarle eccessivamente sull'animo, aveva chiamato a raccolta la fidata Rachel, e le due si erano nascoste lassù, in quel luogo protetto, lontano da tutti e da tutto, per qualche minuto di pace, a parlare di quello che veniva loro in mente, qualunque cosa essa fosse.

Il mondo conosceva Teresa per i suoi componimenti musicali, i suoi libri, le sue lezioni e complessivamente per la sua genialità. Rachele, invece, la conosceva per ben altro.
Il suo senso dell'umorismo, tanto per cominciare, la sua umiltà assoluta, il disprezzo quasi fastidioso con cui trattava gli altri professori ed uomini più grandi di lei. Disprezzo che serviva solo a nascondere la grande paura di dimostrarsi indegna delle grandi aspettative riversate su di lei, e con le quali conviveva fin da quando aveva avuto consapevolezza di sé stessa.
E ancora, Rachele la conosceva per quella sua capacità di interrompere tutto, nel bel mezzo di mille altri impegni, e restare per degli interi minuti incantata a guardare un fiore e la farfalla che vi si era appoggiata sopra, a succhiarne il nettare, immaginando come dovesse essere sentirsi così bella.
–Ma Teresa, tu sei bellissima! La più bella di tutto l'istituto!
–Sì?– rispondeva allora lei. –Forse. Ma non sono bella così... come questa farfalla.
–Che vuoi dire?
–Non lo so. Non lo so con certezza. Ma so che io e questa farfalla siamo belle in maniera differente. E prima o poi lo comprenderò...

–Predeterminato.– aveva risposto allora Teresa, annuendo. Il suo sguardo era greve, pieno di una pesantezza che Rachele non le aveva mai visto prima. –Io e te, siamo state prescelte. Siamo state fatte nascere, e poi ci hanno scritto dentro, hanno scelto non solo il nostro nome, ma anche il nostro volto, il colore dei nostri occhi, dei nostri capelli, la nostra intelligenza, la nostra bravura nel cantare, nel suonare, nel ballare, e così via. Hanno scelto il nostro destino. Hanno scelto come saremmo diventate. Tutti quei ragazzi, giù all'istituto, sono tutti bellissimi, intelligentissimi, tutti straordinari. Ma loro non hanno deciso di esserlo, comprendi? Altri lo hanno fatto per loro. E il mio timore è che quella non sia stata l'unica cosa che hanno deciso per noi.

–Io non capisco, Teresa.– aveva risposto allora Rachele, scuotendo la testa, incredula. –Sarà pur vero che la ricerca genetica ha fatto passi da gigante nell'ultimo centinaio di anni, sarà pur vero che rimuoviamo le malattie e tutti i difetti relativi al genoma ai nuovi nati, ma non decidiamo il loro destino! Semplicemente rendiamo la loro vita la migliore possibile che possano avere! Poi è ovvio che se uno è figlio di questo piuttosto che di quello...

–No. Non è così– aveva interrotto Teresa. –C'è qualcosa di più. Ci deve essere. Perché, ad esempio, non c'è nessuno che si ribelli.
–Ribelli?
–Nessuno che non faccia come gli viene detto, ecco.
–Ma che senso avrebbe? Perché dovrebbero farlo? La vita a cui sono destinati è così straordinaria! Perché dovrebbero bruciarsela?

A quel punto Teresa si era morsa il labbro ed aveva annuito. –Già. C'è qualcosa che non mi torna. Loro non hanno alcun incentivo per ribellarsi. Non c'è nessun tornaconto nel fare una cosa del genere...
Rachel era rimasta immobile ad osservare l'amica rimuginare.
–Se c'è qualcosa che ti angustia...– le aveva detto, a quel punto. –Se c'è qualcosa che ti preoccupa... lo sai che puoi parlarmene, vero? Puoi parlare di tutto con me.

Teresa l'aveva guardata e per la prima volta, per la prima volta in assoluto, aveva visto negli occhi di lei qualcosa che non aveva mai creduto di vedere, e infatti quella volta non seppe riconoscere che cosa fosse.

–Certo, lo so.
Stava mentendo.

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